Il giallo della morte di Raffaello. L'ipotesi dell'Università di Milano-Bicocca
Una ricerca condotta dall'ateneo milanese su testimonianze dell'epoca e pubblicata sulla rivista scientifica "Internal and Emergency Medicine" offre nuove prospettive sulle cause della scomparsa del celebre artista rinascimentale, avvenuta 500 anni fa
A 500 anni dalla scomparsa del genio del Rinascimento Raffaello Sanzio, avvenuta dopo giorni di malattia il 6 aprile 1520, quando il pittore aveva solamente 37 anni, la causa precisa della sua morte è ancora circondata da un alone di mistero e nel tempo si sono avanzate le più disparate ipotesi: sifilide, malaria, tifo, polmonite, avvelenamento. Ora una ricerca dell'Università di Milano-Bicocca, basandosi su testimonianze dirette e indirette dell'epoca, cerca di fare luce tra queste ipotesi, indicando la polmonite come la più plausibile. E inquadrando il trattamento terapeutico allora adottato – il salasso – all'interno di un dibattito medico-sanitario vivace e non così omologato come a volte si è portati a pensare.
Lo studio, dal titolo "La morte di Raffaello. Una riflessione sul salasso nel Rinascimento" (The death of Raphael: a reflection on bloodletting in the Renaissance, https://doi.org/10.1007/s11739-020-02435-8) è appena stato pubblicato da "Internal and Emergency Medicine", la rivista ufficiale della Simi – Società italiana di medicina interna, a cura di Michele Augusto Riva, ricercatore di Storia della medicina dell'Università di Milano-Bicocca, Michael Belingheri, ricercatore presso lo stesso ateneo e dai medici Maria Emilia Paladino e Marco Motta. «Ci siamo basati su alcune fonti dirette e indirette dell'epoca – spiega Riva – che mi hanno permesso di approfondire le circostanze della morte di Raffaello. Oltre a "Le vite" del Vasari, fonte irrinunciabile ma pubblicata 30 anni dopo l'evento, ho approfondito le testimonianze di personaggi storici coevi del pittore e presenti a Roma in quel periodo, come quella di Alfonso Paolucci, ambasciatore del duca di Ferrara Alfonso I d'Este o alcuni documenti riscoperti nell'Ottocento dallo storico dell'arte Giuseppe Campori».
Primo punto fermo di questa ricerca: non fu la sifilide il morbo fatale. «C'è chi ha voluto ricollegare la scomparsa di Raffaello a una condotta di vita molto libertina – continua Riva – ma la sifilide è una malattia dal decorso molto lungo, mentre i testimoni ci raccontano di una malattia sviluppatasi all'improvviso, che porta alla febbre e alla morte sopraggiunta dopo 8-10 giorni. Per quanto la sifilide fosse molto diffusa nel '500, i sintomi descritti sullo stato di salute di Raffaello non vanno in quella direzione».
Secondo punto: esclusi anche malaria e tifo. «La malaria ha come sintomi febbri intermittenti – osserva il ricercatore di Milano-Bicocca – mentre quella di Raffaello fu continua. Inoltre, in quegli anni non vengono segnalate epidemie di tifo, malattia che, soprattutto per le condizioni igienico-sanitarie di quei tempi, aveva un alto tasso di contagiosità». Un altro aspetto degli ultimi giorni di vita dell'autore della "Trasfigurazione" e dello "Sposalizio della Vergine" non è sfuggito. «La sua malattia è stata di natura infettiva – prosegue la sua diagnosi medico-storica Michele Riva – ha causato la comparsa di una febbre, ma non è stata invalidante: Raffaello riesce a fare testamento, a individuare gli eredi, dare gli ultimi ordini, è vigile e cosciente».
Il che porta al terzo punto, l'ipotesi forse più accreditabile. «Il decorso della malattia unito ad altri sintomi, indurrebbe a pensare a una forma di polmonite. Non possiamo affermarlo con sicurezza né possiamo ipotizzare se sia stata di origine batterica o virale come l'attuale Covid-19, ma tra le varie cause è quella che più corrisponde a quanto ci viene raccontato: un decorso acuto ma non immediato, la mancanza di perdita di coscienza, assenza di sintomi gastroenterici e febbre continua». Così fosse, stando sempre alle carte, a peggiorare il quadro clinico ci sarebbe stato anche un errore medico.
«Raffaello viene trattato con i salassi – ricorda Riva –. Secondo la teoria degli umori, derivata dalla tradizione medica ippocratica-galenica e allora in voga, si pensava che un eccesso di sangue potesse causare la febbre. Uno dei possibili rimedi era il salasso, ovvero sottrarre alla persona malata una certa quantità di sangue per riequilibrare gli umori. Cosa assolutamente sconsigliata in caso di febbre polmonare».
Ma l'errore medico fu inconsapevole. «Il Vasari ci dice che il pittore nascose ai medici i comportamenti tenuti fino al momento della malattia: era uscito spesso nelle notti precedenti per scorribande amorose. "Non confessando egli il disordine che aveva fatto, per poca prudenza" i medici "gli cavarono il sangue". Non conoscendo la condotta del paziente e non potendo inquadrare meglio l'origine di quella febbre, i medici avrebbero sbagliato a insistere con il salasso. Cosa che probabilmente non avrebbero fatto, se Raffaello avesse confessato la sua condotta».
Anche perché la terapia del salasso – e questo è un altro aspetto messo in luce dalla ricerca – per quanto diffusa, non era una pratica accettata da tutti. «Raffaello era il pittore amato da papa Leone X e il papa lo fece assistere dai migliori medici di Roma. Le testimonianze analizzate ci offrono tante informazioni sulla conoscenza e sulla pratica del salasso nel Rinascimento. Che non era certamente un mito intoccabile».
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Stelline