venerdì 3 marzo 2023

Neoclassico e romantico

 

Comune di Milano e GAM | Galleria d’Arte Moderna

presentano

 

neoclassico e romantico

pompeo marchesi, Scultore collezionista

 

GAM | Galleria d’Arte Moderna di Milano

1marzo - 18 giugno 2023

 

Con la mostra “Neoclassico e Romantico. Pompeo Marchesi, scultore collezionista”, GAM |Galleria d’Arte Moderna prosegue il percorso di valorizzazione dei nuclei più significativi del suo patrimonio artistico.

 

L’esposizione, allestita nelle sale al piano terra della Villa Reale dall’ 1 marzo al 18 giugno 2023, è promossa dal Comune di Milano | Cultura ed è curata da Omar Cucciniello, conservatore della Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Milano rende omaggio a Pompeo Marchesi (1783-1858), grande scultore dell’Ottocento, allievo di Canova, coetaneo e amico di Francesco Hayez e trait d’union nel passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, nel vivace ambiente della Milano tra Impero napoleonico e Restaurazione. La mostra, a 240 anni dalla sua nascita, segue le celebrazioni per il bicentenario della morte di Antonio Canova e prende spunto dal prezioso modello in gesso di Ebe di quest’ultimo, alla Galleria d’Arte Moderna, per ricostruire la raccolta dello scultore, artista di fondamentale importanza per la storia del museo e delle collezioni artistiche del Comune di Milano.  Tra i rarissimi modelli di Canova a non essere confluiti nella Gypsotheca di Possagno, Ebe giunse infatti nelle collezioni civiche proprio in seguito al lascito testamentario di Marchesi.

Il percorso espositivo ricostruisce la vita e l’opera dello scultore, formatosi all’Accademia di Brera sotto gli auspici di Giuseppe Bossi e poi a Roma, sotto la direzione di Canova. La figura di Marchesi è strettamente legata alla città di Milano, dove negli anni della Restaurazione l’artista ottenne un grandissimo successo partecipando ai più importanti cantieri cittadini, dall’Arco della Pace al Duomo, e alla vita artistica, in qualità di professore dell’Accademia di Brera. Conosciuto come il “Fidia meneghino”, fu definito da Stendhal “le sculpteur à la mode de Milan” nel romanzo La Certosa di Parma, ebbe commissioni importanti da tutta Europa, da Vienna a Parigi a San Pietroburgo, testimonianza di una stagione di splendore della scultura lombarda, conosciuta e ricercata in tutto il mondo. Classicista e perfetta nella forma, la sua scultura è in equilibrio tra la ricerca di una bellezza ideale ed eterna, mutuata da Canova, e lo schiudersi di una più moderna sensibilità romantica, mentre i bozzetti mostrano un’inedita forza, modernissima e quasi anticlassica, che sembra tradurre il consiglio di Winckelmann di “ideare col fuoco ma eseguire con calma”.

Il suo grandioso atelier, ricostruito dopo un incendio grazie a una sottoscrizione della cittadinanza e inaugurato dall’imperatore d’Austria Ferdinando I, era uno dei luoghi più alla moda della città, ricordato da Stendhal e Balzac, frequentato da teste coronate, artisti, scrittori, nobili e intellettuali, affrescato da Hayez e organizzato come un museo. Qui Marchesi radunò tutti i modelli in gesso e i bozzetti delle sue sculture, ma anche la ricca collezione di opere d’arte raccolte durante gli anni. Proprio da questo monumentale luogo nasce il suo lascito: alla sua morte lo scultore destinò infatti tutti materiali dello studio non ai musei d’arte esistenti (la Pinacoteca di Brera e la Biblioteca Ambrosiana) ma alla città di Milano, che all’epoca non disponeva di collezioni d’arte. Primo di una lunga serie di doni di artisti e collezionisti che si susseguiranno nei decenni successivi, il lascito di Marchesi si pone quindi alle origini delle collezioni artistiche civiche.

Il dono comprendeva le numerosissime opere dello scultore (modelli, bozzetti, disegni), ma anche tutto ciò che aveva collezionato in vita: sculture antiche, disegni, incisioni, dipinti, cartoni e libri, con particolare riferimento agli artisti a lui contemporanei, Andrea Appiani, Giuseppe Bossi, Francesco Hayez, Bertel Thorvaldsen e soprattutto Antonio Canova, di cui possedeva appunto il modello di Ebe, forse l’opera più preziosa della collezione. Esposte in origine unitariamente nella prima sede del Museo Artistico Municipale ai Giardini Pubblici, le opere della collezione Marchesi vennero poi suddivise tra i diversi istituti via via fondati, dal Museo Archeologico al Gabinetto dei Disegni del Castello alle biblioteche, che ancora oggi le conservano. Il numero maggiore di opere è custodito dalla Galleria d’Arte Moderna, inaugurata nel 1903 ma il cui nucleo fondativo può ben essere rintracciato nella collezione di Marchesi.

La mostra intende quindi ricostruire la complessità della raccolta e la sua importanza per la nascita delle collezioni artistiche cittadine, in cui risulta profondamente innervata, avvalendosi del contributo degli istituti civici: il Gabinetto dei Disegni, la Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”, la Biblioteca d’Arte, il Civico Archivio Fotografico, il Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. Alle sculture di Marchesi della Galleria d’Arte Moderna viene così accostata per la prima volta una selezione di dipinti, disegni, incisioni e libri di diversi artisti a lui vicini. In questo modo è stato possibile valorizzare ulteriormente la ricchezza e la complessità delle collezioni civiche milanesi la cui preziosa e attiva collaborazione ha permesso nuove scoperte e attribuzioni.

L’esposizione è inoltre l’occasione per mostrare i risultati di un’ampia campagna di restauri su sculture, bozzetti e terrecotte di Marchesi – con particolare riferimento alle principali imprese cittadine. Le opere restaurate, tra cui Il Genio della caccia, la Maddalena, le terrecotte per l’Arco della Pace e i gessi per il monumento di Francesco I a Vienna, sono così accostate a disegni preparatori, schizzi e incisioni dell’artista e a opere inedite e mai esposte provenienti dai depositi della Galleria d’Arte Moderna. Emerge non solo il profilo di uno degli scultori canoviani più importanti, ma anche la sua complessità di collezionista.

La mostra “Neoclassico e Romantico. Pompeo Marchesi, scultore collezionista” si rivela l’occasione per riflettere sull’origine della Galleria d’Arte Moderna e per riannodare i fili della nascita delle collezioni municipali, ricostruendone la storia, le vicissitudini, gli spostamenti nelle diverse sedi e la creazione degli attuali musei civici di Milano. L’esposizione sarà accompagnata da un calendario di attività, conferenze e visite guidate e il catalogo è edito da Officina Libraria.

 

 

Le sezioni della mostra

1. Le sculpteur à la mode de Milan


 

La figura di Marchesi è strettamente legata alla città di Milano. Si formò all’Accademia di Brera sotto gli auspici di Giuseppe Bossi e poi a Roma, sotto la direzione di Antonio Canova, il capofila del Neoclassicismo, che influenzò profondamente la sua scultura. Rientrato a Milano nel 1810, fece in tempo ad assistere al tramonto dell’Impero napoleonico. Ma è negli anni della Restaurazione che ottenne un enorme successo, partecipando ai più importanti cantieri cittadini, dall’Arco della Pace al Duomo, e alla vita artistica, come professore dell’Accademia di Brera, a partire dal 1826. Definito da Stendhal “le sculpteur à la mode de Milan” nel romanzo La Certosa di Parma (1839), ebbe commissioni importanti da tutta Europa, da Vienna a Parigi a San Pietroburgo, testimonianza di una stagione di splendore della scultura lombarda, conosciuta e ricercata in tutto il mondo: “il suo nome correva sulla bocca di tutti, ognuno si interessava ai lavori suoi prima ancora che fossero compiuti”, come scrissero i contemporanei. Il suo grandioso atelier, forse il più magnifico che Milano ricordasse dai tempi di Leone Leoni, era un simbolo della cultura e della mondanità milanese: fu inaugurato dall’imperatore d’Austria Ferdinando I ed era uno dei luoghi più alla moda della città. Affrescato da Hayez e organizzato come un museo, era frequentato da teste coronate, artisti, scrittori, nobili e intellettuali, tra cui Stendhal, Balzac, Carlo Porta, Vincenzo Monti, Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi. Qui si svolgeva la vita di studio, con la produzione di grandi opere in marmo e l’insegnamento agli allievi, ma qui Marchesi radunò anche tutti i modelli in gesso e i bozzetti delle sue sculture, come pure la ricca collezione di opere d’arte raccolte durante gli anni.

2. Nel segno di Canova

L’ingresso allo studio di Pompeo Marchesi era sorvegliato dalle erme colossali di Appiani e Canova (oggi esposte sullo scalone del museo), i due principali rappresentanti del rinnovamento neoclassico in scultura e in pittura, considerati da Marchesi numi tutelari della sua ispirazione, delle cui opere volle circondarsi. Tra le opere canoviane della collezione di Marchesi, il bellissimo modello in gesso della statua di Ebe è sicuramente il più importante, ricordato dallo stesso scultore come il pezzo della collezione a cui era più affezionato, e modello del classicismo che ispirò buona parte della sua scultura. La grazia delicata della coppiera degli dei trovava un corrispettivo nell’opera di Andrea Appiani, di cui Marchesi possedeva splendidi studi per gli affreschi di San Celso, disegni per il grandioso ciclo dei Fasti napoleonici, ma anche raffinate miniature. I primi contatti di Marchesi con Canova, durante gli anni del pensionato artistico a Roma, furono mediati da Giuseppe Bossi, all’epoca segretario dell’Accademia e grande amico dello scultore: di quest’ultimo Marchesi collezionò una serie di disegni e cartoni, che testimoniano della varietà e complessità dell’opera dell’artista bustocco, dagli studi di anatomia alle ambiziose composizioni fino agli studi su Leonardo da Vinci. Inoltre, la sterminata collezione di Bossi costituì senz’altro un’ispirazione per quella di Marchesi. Infine, Marchesi indicava tra i suoi modelli anche Bertel Thorvaldsen, conosciuto a Roma, emulo e avversario di Canova, di cui possedeva alcuni bassorilievi, testimonianza della considerazione in cui lo scultore danese era tenuto come “patriarca del bassorilievo”.

3. Il Fidia meneghino

La sala propone una selezione dell’opera di Pompeo Marchesi attraverso bozzetti, gessi e modelli, restaurati in occasione della mostra, molti esposti per la prima volta: alcuni recano i segni dell’incendio dello studio del 1834. La tecnica esecutiva utilizzata da Marchesi è quella messa a punto da Canova alla fine del Settecento e poi adottata da tutti gli scultori fino al Novecento. La prima idea trovava forma in un bozzetto di piccole dimensioni, modellato in argilla e poi cotto oppure tradotto in gesso, a cui seguiva – a volte con passaggi intermedi – la realizzazione di un modello in gesso accuratamente rifinito in scala 1:1, sul quale venivano apposte crocette o chiodini, ancora visibili, per riportare le dimensioni sul blocco di marmo da scolpire. Classicista e perfetta nella forma, quella di Marchesi è una scultura in equilibrio tra la ricerca di una bellezza ideale ed eterna, mutuata da Canova, e lo schiudersi di una più moderna sensibilità romantica, che caratterizza la scena artistica milanese, dominata da Francesco Hayez: grande amico di Marchesi, finirà per influenzarne l’opera, contribuendo ad aggiornare la scultura della sua epoca. Da un lato Marchesi introduce l’abito contemporaneo nella scultura ufficiale, ancora ferma su posizioni classiciste, tra nudo eroico e panneggio all’antica, affermando invece il diritto di ogni epoca ad autorappresentarsi. Dall’altro, instilla nelle figure una delicata dimensione emotiva e sentimentale, manifestamente romantica, evidente in opere come la Maddalena o nei monumenti funerari. In questi ultimi si assiste al passaggio dall’iniziale adesione ai moduli canoviani della stele classica e del compianto, alla semplificazione arcaica dei bassorilievi di Thorvaldsen. Il confronto tra studi, bozzetti e modelli finiti permette di ricostruire intere serie iconografiche e di seguire lo sviluppo dell’opera dalla prima idea alla sua realizzazione finale, attraverso ripensamenti e modifiche. Il contrasto tra l’inaspettata forza dei bozzetti, quasi anticlassici, e la levigata perfezione dei gessi sembra tradurre l’indicazione di Wickelmann di “ideare col fuoco, ma eseguire con serenità”.

4. La collezione di disegni


 Una caratteristica inattesa nella collezione di Pompeo Marchesi è l’ampia presenza di disegni, opere che lo scultore ricercò con grande passione per tutta la vita, conservata al Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco. Oltre ai nuclei di disegni di quelli che considerava i suoi maestri –   esposti nelle sale precedenti – Marchesi collezionò un gran numero di opere di suoi contemporanei, dando alla raccolta un carattere estremamente moderno per l’epoca, specie per un artista considerato classicista. Accanto a Bossi e Appiani, troviamo quindi Luigi Ademollo, Giovanni De Min, Federico Moja, Pelagio Palagi, Francesco Sabatelli, un nucleo cospicuo di disegni di Vitale Sala, allievo di Palagi morto giovanissimo, a cui si devono aggiungere artisti stranieri, come Kupelwieser o de Sequeira, e alcuni disegni di scenografie e architetture, di Gaetano Vaccani, Paolo Landriani, Giovanni Perego. All’amico Francesco Hayez appartiene forse il disegno più bello della collezione, la sensuale Betsabea al bagno. Molte sono le opere di artisti che Marchesi conosceva e frequentava. La loro acquisizione dovette essere frutto di doni, scambi, viaggi o acquisti diretti. La collezione di disegni mostra una predilezione per i disegni rifiniti e i soggetti mitologici e romantici. I disegni sono stati raccolti e selezionati nell’ambiente vissuto da Marchesi, tra la Lombardia e l’Austria, per le loro qualità estetiche, con finalità principalmente collezionistiche: non sono fogli e opere a uso della bottega, come era costume nel Rinascimento, ma frutto del gusto di Marchesi, e infatti perfettamente coerenti con la sua estetica. Ciò non esclude che potessero comunque essere anche additati agli allievi come modelli o che fossero fonte di ispirazione dello scultore.

5. L’eredità di Marchesi: un dono per la città

Alla sua morte nel 1858, con un gesto sorprendente, Marchesi destinò tutti i materiali dello studio non ai musei d’arte esistenti (l’Accademia di Brera e la Biblioteca Ambrosiana) ma alla città di Milano, che all’epoca non disponeva di collezioni d’arte. Con l’intermediazione dell’avvocato Salvatore Fogliani, suo erede ed esecutore testamentario, il Comune di Milano accettò il dono nel 1862, all’indomani dell’unità d’Italia, in una Milano non più austriaca. Primo di una lunga serie di doni di artisti e collezionisti che si susseguiranno nei decenni successivi, il lascito si pone quindi alle origini delle collezioni artistiche civiche. Il dono comprendeva le numerosissime opere dello scultore (modelli, bozzetti, disegni), ma anche tutto ciò che aveva collezionato in vita: sculture antiche, disegni, incisioni, dipinti, cartoni e libri, con particolare riferimento agli artisti a lui contemporanei. Nonostante le perdite dovute agli avvenimenti storici – la collezione di cartoni andò distrutta durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale – nella sua varietà e ricchezza è una preziosa testimonianza del gusto di un’intera epoca. Esposte in origine unitariamente nella prima sede del Museo Artistico Municipale ai Giardini Pubblici, inaugurato nel 1878, le opere della collezione Marchesi vennero poi trasportate al Castello Sforzesco restaurato da Beltrami a inizio Novecento per diventare la sede dei musei civici, e quindi suddivise tra i diversi istituti via via fondati: dal Museo Archeologico al Gabinetto dei Disegni, dal Museo d’Arte Antica alla Biblioteca d’Arte alla Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, che ancora oggi le conservano. Il numero maggiore di opere è custodito dalla Galleria d’Arte Moderna: il museo fu inaugurato nel 1903, ma il suo nucleo fondativo va rintracciato proprio nella collezione di Marchesi.

 

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