EGEA PRESENTA
L'algoritmo bipede
In un nuovo saggio, la neuroscienziata Martina Ardizzi ci racconta l'avvincente storia di come mente, corpo e tecnologia evolvono insieme. Anche – o soprattutto – nell'era di un'intelligenza artificiale che ci interroga nel profondo della nostra identità di esseri umani
Ah, non c'è più il cervello di una volta… Quante volte, in questi tempi così (freneticamente) digitali, ci capita di aggrottare le sopracciglia rendendoci conto di esserci già dimenticati quell'appunto preso poco fa sul cellulare, di non essere più capaci di svolgere quel calcolo affidato a un computer, o di ricordare come avvolta nella nebbia l'immagine di un bel momento appena passato, andando a cercare conforto tra i dettagli di una fotografia? Nessun allarme: non siamo soli. Perché, sì, il cervello della nostra specie sta cambiando. Ma esattamente come ha sempre fatto nel corso della nostra storia, e in particolare a partire dal momento in cui abbiamo intrapreso il percorso che da agili quadrupedi ci ha portati a diventare "L'algoritmo bipede" descritto da Martina Ardizzi in un nuovo saggio edito da Egea. Un viaggio avvincente tra neuroscienze, evoluzione e innovazione, in cui mente, corpo, ambiente e tecnologia si modificano insieme, passo dopo passo. E allora forse non vale più la pena di domandarsi con nostalgia chi eravamo, ma che cosa diventeremo.
Cosa succede al nostro cervello quando le nostre mani iniziano a utilizzare una tecnologia inventata dalla nostra stessa mente? Ricercatrice al Dipartimento di Medicina e chirurgia, unità di Neuroscienze, dell'Università di Parma, dove insegna Psicobiologia, Ardizzi parte da questo interrogativo per guidarci con leggerezza e ironia attraverso i meccanismi più profondi della nostra mente, svelando come ogni nostro strumento – dal primo sasso scheggiato ai visori virtuali – non sia solo un oggetto esterno, ma una vera e propria protesi del nostro pensiero.
Già, perché il cervello umano non è un organo chiuso, ma un sistema dinamico che si adatta costantemente all'ambiente, incorporando tecnologie, linguaggi e nuove esperienze. Quello cerebrale è un sistema altamente plastico che non rimane statico, ma si modifica continuamente in risposta agli stimoli ambientali. La nostra specie ha sempre utilizzato la tecnologia per estendere le proprie capacità cognitive, creando strumenti che diventano parte integrante del nostro processo di pensiero.
Gli effetti di questo continuo percorso di evoluzione hanno scandito la nostra storia: basti pensare a come l'utilizzo del fuoco ci abbia permesso da un lato di cuocere cibi alimentando così l'apporto calorico per fare crescere il nostro cervello, ma soprattutto di estendere le ore di veglia produttive da 8 a 16, favorendo lo sviluppo di competenze sociali e linguistiche durante le serate attorno al focolare. O a come la scrittura ci abbia da un lato consentito di esternalizzare alcune funzioni cognitive, conservando e trasmettendo informazioni nel tempo, e dall'altro ci abbia aiutato ad estendere l'esistenza degli oggetti verso una dimensione astratta che andasse oltre l'esperienza materiale, dando il la allo sviluppo di una "mente simbolica". Senza viaggiare troppo indietro nel tempo, poi, possiamo trovare prove della continua evoluzione del nostro cervello anche intorno a noi. A Londra, ad esempio: studi scientifici hanno infatti dimostrato che i tassisti della City hanno un ippocampo di destra significativamente più grande rispetto ai cittadini comuni; più anni di lavoro trascorsi guidando per la città, più l'area cerebrale deputata all'orientamento spaziale si ingrandiva. Oppure in montagna: nei cervelli degli sciatori professionisti la corteccia motoria e cerebellare risulta più estesa, con aree motorie e sensoriali più connesse, permettendo un rapido adattamento ai cambiamenti del terreno.
Ma se è vero come è vero che fin dall'origine l'uomo ha sviluppato tecnologie motorie, sensoriali e cerebrali che hanno letteralmente rimodellato la struttura e il funzionamento del suo cervello, cosa sta accadendo oggi, nel bel mezzo di una vorticosa rivoluzione digitale che giorno dopo giorno mette a nostra disposizione strumenti sempre più avanzati e "intelligenti" in grado di aiutarci così bene da essere diventati più efficienti di noi nello svolgere compiti che fino a pochi anni fa erano una prerogativa esclusiva della nostra specie?
Nel saggio, Ardizzi indaga l'impatto di Internet, tecnologie immersive e intelligenza artificiale sul cervello umano, analizzando come queste tecnologie modifichino i nostri processi cognitivi. E, se da un lato stiamo migliorando la nostra capacità di adattarci a flussi informativi complessi e a connettere informazioni diverse, stiamo diventando più efficienti nelle nostre strategie di ricerca e stiamo sviluppando il nostro pensiero laterale (il tutto mentre ampliamo le nostre reti sociali grazie a connessioni globali), dall'altro stiamo frammentando i nostri processi cognitivi ed erodendo le nostre capacità di memorizzazione e di attenzione prolungata sotto il peso di un costante sovraccarico informativo e di un discreto stress da multitasking. La tecnologia dà, insomma, e la tecnologia toglie. Come dal momento in cui abbiamo preso in mano il primo chopper della storia "umana".
Di fronte a una sempre più evidente dissoluzione dei confini tradizionali tra corpo, mente e tecnologia – uniti in un sistema in continua e mutua trasformazione – Ardizzi suggerisce che l'obiettivo non possa più essere definire i limiti dell'umano, ma comprendere le sue infinite possibilità di trasformazione.
"Dall'alba dei tempi la tecnologia che l'uomo ha inventato non ha mimato l'umano", scrive Ardizzi. "L'intento era proprio l'opposto: estendere le nostre capacità e competenze per meglio adattarci all'ambiente. E questo è ancora vero. Anche l'intelligenza artificiale simula alcune nostre funzioni mentali ma le esercita in un modo costitutivamente differente dal nostro".
"Mai come adesso", conclude l'autrice, "le discipline che studiano il corpo, la mente e la tecnica dell'uomo devono accogliere il quesito ontologico del nostro tempo. Mai come adesso tra gli schemi che regolano lo sviluppo tecnologico si vede necessaria una capacità meta-riflessiva dell'uomo che possa abbracciare il processo che siamo. Ridefinire l'umano non significa abdicare alla nostra singolarità o unicità, quanto riconoscere che l'umano «diventa», non «è». Nella nicchia degli strumenti ontologici non si cerca né di essere più taglienti, né di vedere più lontano o di ricordare di più: si cerca di comprendere profondamente la nostra natura in continua evoluzione, non cercando di delineare i confini dell'umano ma di tracciare tutto quello in cui possiamo cambiare".
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L'AUTRICE
Martina Ardizzi è Ricercatrice al Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Unità di Neuroscienze, dell'Università di Parma, dove insegna Psicobiologia e Psicobiologia dell'identità di genere e dell'orientamento sessuale. È membro del Centro di Bioetica dello stesso ateneo, siede nel comitato scientifi co della Biennale della Tecnologia di Torino ed è trustee di Imminent Translated's Research Center.
DATI TECNICI:
"L'algoritmo bipede – L'avvincente storia di come mente, corpo e tecnologia evolvono insieme"
Egea, 2024 – pp. 160 – € 16,50 – Nelle librerie italiane dal 21 marzo
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Stelline