NELLA SUA BELLA E DIVEFRTENTE INTERVISTA COSI' HA RISPOSTO AD ALESSANDRO CATTELAN:
Sull’esordio della sua carriera risponde: “Ho cominciato a
giocare nelle giovanili della Vis Persiceto, squadra del paese dove sono
nato, all’età di sei anni. E a chiunque mi chiedeva cosa volessi fare
da grande rispondevo il giocatore di basket e
giocare in NBA. Riuscirci è stata un’impresa! Negli Stati Uniti mi
hanno dato il soprannome di Pokerface per la mia capacità di nascondere
le emozioni.”
A proposito dei tiri da tre, i suoi punti forza, dice: “L’allenamento
e la ripetizione di un esercizio sono fasi importantissime. A questi si
aggiungono il talento, la voglia di lavorare tanto e impegnarsi per
molto tempo; fare 250 o 300 tiri al giorno
mi ha aiutato a perfezionare il mio tiro e quelli fuori equilibrio, su
una gamba o tutto storto. Quando ero piccolo volevo assomigliare a Kobe
Bryant e Michael Jordan e cercavo di imitarli.”
E sul turning point della sua carriera riconosce: “La partita
che mi ha messo sugli occhi di tutti, americani compresi, è stata quella
dei mondiali con la Nazionale in cui affrontammo proprio gli Stati
Uniti. Ho fatto una partita giusta, tipo 25 punti.
Dopo questa partita mi dicevano che avrei potuto giocare in NBA,
nonostante fossi un giocatore della Fortitudo. Ma ero fisicamente molto
magro e dovetti prendere dieci chili di muscoli per potermi confrontare
con giocatori tosti.”
L’esperienza americana: “Avevo 20 anni quando andai negli
Stati Uniti per la prima volta e avevo una grande paura. Quando sono
stato scelto nei Golden State a San Francisco, io non sapevo neanche
dove fosse… I primi anni nei Golden State sono stati
duri, i primi due anni e mezzo non giocavo. Poi sono andato a giocare a
Toronto, non avevo avuto molte possibilità di farmi vedere prima. È
stata molto dura: vivevo in palestra e facevo tanti allenamenti. Le
persone care, i miei affetti, sono stati importanti
per non farmi mollare”. Fino al titolo NBA: “Me ne sono
reso conto dopo un’intervista quando per la felicità mi misi a piangere.
Nella mia testa pensavo a tutti i momenti difficili della mia carriera,
tra cui i primi due anni nei Golden State
e anche a Toronto.”
Quanto manca al ritiro? “Vediamo come finisce questa stagione,
mancano ancora 4-5 mesi, poi dovrò iniziare a pensare se è arrivato il
momento di continuare o meno. Ci sono molte cose da considerare: io
vorrei finire con quello che sono, cioè un giocatore,
e non con un lento declino. Se vedo che il fisico mi manda qualche
segnale e inizia a mollare lo accetterò e andrò avanti. Per ora non c’è
una data e non ci sto ancora pensando… Come mi è difficile pensare se
vorrò o meno rimanere nel mondo della pallacanestro,
perché potrà capitare di tutto.”
E per finire, un film sulla tua vita? “Se dovessero fare un film sulla mia vita vorrei che a interpretarlo fosse Sylvester Stallone.”
A “Hot Ones”, come nella versione statunitense dove il programma è
giunto alla sua venticinquesima edizione, i protagonisti dello show -
personaggi del cinema, della Tv, dello sport, della musica e dei social
media – vengono intervistati dal conduttore davanti
a un piatto di alette di pollo (con un’alternativa vegetariana/vegana)
condite con salse progressivamente più piccanti.
“Hot Ones” è una produzione Palomar, a Mediawan Company, in
collaborazione con Rai Contenuti Digitali e Transmediali, condotto da
Alessandro Cattelan
0 commenti:
Posta un commento
Stelline