Deglobalizzazione:
immagini di un mondo in frantumi
Nel suo nuovo saggio, il sociologo Nello Barile ripercorre le cronache di un mondo che sta andando in pezzi attraverso lo specchio del suo immaginario: da foto di cronaca e video iconici passando per film e serie tv.
Milano, ottobre 2025 – Dalla solitudine mediatica del Papa in una piazza San Pietro deserta durante il lockdown alle influencer russe che bruciano le loro borse Chanel all'indomani dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, fino al carnevale psichedelico e sedizioso di Capitol Hill: ci sono immagini iconiche che segnano le crepe di un mondo interconnesso, e che raccontano il tramonto della globalizzazione meglio di qualsiasi analisi economica. Nel suo nuovo libro "Deglobalizzazione – Immagini di un mondo in frantumi" (Egea, 2025), Nello Barile, sociologo dei media e docente all'Università IULM di Milano, costruisce una mappa visiva del presente: un atlante che attraversa crisi, simboli e linguaggi per capire come la globalizzazione si sia frantumata, trasformandosi in un sistema di frammenti, disuguaglianze e nuovi poteri.
La deglobalizzazione, scrive Barile, non è un semplice arretramento della globalizzazione, ma un processo culturale e simbolico: la disgregazione di un immaginario comune. Ogni grande crepa – dall'11 settembre alla guerra in Ucraina, passando per la crisi finanziaria, la Brexit, la pandemia – ha prodotto non solo conseguenze economiche e politiche, ma anche nuove immagini del mondo. In queste rappresentazioni, che oscillano tra realtà e finzione, si leggono i sintomi di un'epoca post-globale: il ritorno dei confini, la dissoluzione delle ideologie, la spettacolarizzazione del potere.
Nel saggio Barile intreccia sociologia dei media, filosofia politica e cultura visiva, mostrando come la globalizzazione abbia progressivamente consumato se stessa. La promessa di una rete globale e inclusiva si è trasformata in un mosaico di bolle comunicative e tribalismi digitali, in cui la tecnologia connette e allo stesso tempo isola.
L'autore ricostruisce il percorso della deglobalizzazione attraverso cinque snodi storici.
- L'11 settembre, che segna la fine dell'innocenza globale e inaugura la politica della paura.
- La crisi del 2008, che dissolve la fiducia nei mercati e apre la stagione del populismo economico.
- La Brexit e l'emergenza migratoria, che riportano al centro il tema dei confini e delle identità.
- La pandemia, che mostra la vulnerabilità del sistema globale.
- La guerra in Ucraina, che unisce religione, propaganda e tecnologia in un conflitto che è insieme materiale e simbolico.
In questo percorso, la globalizzazione non scompare: si decompone e si replica in nuove forme di potere. Le piattaforme digitali, le grandi corporation tecnologiche e i regimi autoritari ibridi diventano i nuovi centri di controllo dell'immaginario mondiale.
Barile descrive una realtà attraversata da due grandi forze: il paradigma globalista, erede dell'utopia progressista e cosmopolita, e quello identitario, fondato su radici, confini e comunità chiuse.
Tra questi poli si muove una politica ridotta a spettacolo, dove il dissenso diventa intrattenimento e la verità si misura in like. È l'epoca della polarizzazione emotiva, in cui ogni opinione si traduce in un'immagine virale, ogni crisi in una narrazione estetica. Nella "guerra metafisica" tra visioni del mondo – quella secolarizzata dell'Occidente e quella spirituale e autoritaria che la sfida – la deglobalizzazione si manifesta come scontro di immaginari, prima ancora che di economie o ideologie.
Tra questi poli si muove una politica ridotta a spettacolo, dove il dissenso diventa intrattenimento e la verità si misura in like. È l'epoca della polarizzazione emotiva, in cui ogni opinione si traduce in un'immagine virale, ogni crisi in una narrazione estetica. Nella "guerra metafisica" tra visioni del mondo – quella secolarizzata dell'Occidente e quella spirituale e autoritaria che la sfida – la deglobalizzazione si manifesta come scontro di immaginari, prima ancora che di economie o ideologie.
In questo senso, il saggio si spinge oltre la geopolitica per indagare la dimensione culturale della deglobalizzazione. La cultura popolare diventa un campo di battaglia tra modelli opposti: la Netflix Society e la Retrotopia, la Cancel Culture e i nuovi nazionalismi religiosi. O, in ultima istanza, il pensiero Woke – progressista e inclusivo, spesso ad ogni costo – e la reazione che gli si oppone, nostalgica e difensiva, che cerca rifugio nel mito del passato se non nelle ideologie suprematiste. Che si tratti di una marcia forzata verso il futuro o della fuga in un passato idealizzato, la corsa sembra comunque condurre all'interno di prigioni in cui rinchiudere un mondo che ha smarrito il suo equilibrio.
In questo scenario conflittuale, la rete non connette ma isola: moltiplica le voci ma dissolve la comunità, trasformando l'individuo in un nodo autoreferenziale di un sistema che alimenta sé stesso. È l'universo di "The Young Pope" e di "Stranger Things", dove la solitudine del potere e la paura dell'ignoto diventano metafore di un'umanità iperconnessa ma incapace di comunicare davvero.
Parallelamente, la contro-cultura viene svuotata e convertita in spettacolo. La ribellione diventa estetica, la critica un marchio: l'immaginario della protesta – dai graffiti di Banksy ai mural di Jorit – è assorbito dalla macchina mediatica che trasforma ogni gesto di dissenso in contenuto condivisibile.
La Silicon Valley, un tempo simbolo del progresso libertario, è oggi l'emblema del nuovo feudalesimo digitale: dal progressismo utopico della rete, insomma, al feudalesimo delle piattaforme. Il potere non è più solo economico o politico, ma cognitivo, esercitato attraverso algoritmi, sorveglianza e persuasione invisibile. È il preludio alla società artificiale, dove l'intelligenza artificiale e le tecnologie predittive diventano la nuova metafisica del potere: un sistema che promette efficienza e sicurezza in cambio di autonomia, immaginazione e libertà critica. Neanche fossimo in una puntata di "Black Mirror".
"Riflettere sulla deglobalizzazione non vuol dire certo assecondare i partiti sovranisti e populisti nel loro approfittare delle grandi crisi per fare incetta di voti", scrive Barile. "Vuole dire in primis ripensare il modello della globalizzazione che ha tradito molte delle sue promesse, ma vuole anche ammonire sui possibili rischi di una transizione verso un nuovo ordine globale dominato da megaorganismi e poteri autocratici, o meglio tecnototalitari, che tenteranno di far sopravvivere pezzi di globalizzazione funzionali al proprio tornaconto".
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Nello Barile, sociologo, allievo di Alberto Abruzzese, insegna Sociologia dei media e Sociologia della moda presso l'Università IULM di Milano. È autore di numerosi libri e articoli pubblicati in Italia e all'estero, tra cui Brand Renzi. Anatomia del politico come marca (2014) e Il marchio della paura. Immagini, consumi e branding della guerra all'Occidente (2016), entrambi editi da Egea.
DATI TECNICI:
"Deglobalizzazione – Immagini di un mondo in frantumi" di Nello Barile
Egea, 2025 – pp. 144 – 16 euro



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Stelline