mercoledì 20 luglio 2011

Report live dei Jethro Tull al Teatro di Ostia Antica

Roma, Teatro di Ostia Antica, 18 Luglio 2011

L'Italia è sempre stata territorio favorevole ai Jethro Tull: quest'anno sono state annunciate addirittura 5 date. Noi abbiamo scelto quella di Ostia Antica per l'indubbio fascino dell'Anfiteatro Romano e degli scavi circostanti.

Nell'avvicinarsi all'area attrezzata per il palco si respira storia ad ogni passo.

Bene, questi giganti del progressive hanno risposto ancora una volta presenti, fornendo un'ora e 45 minuti di ottima fattura, quasi completamente dedicata ai classici assoluti della band, con Aqualung tra gli albums più gettonati.

Si parte in quarta con Living in the past, a poco a poco si vedono comparire tutti gli ingredienti che hanno reso celebre la ricetta Jethro Tull nel mondo: gli occhi sbarrati, quasi schizofrenici, di Ian Andersen col suo inseparabile flauto traverso.

Bandana in testa, forse un pò per colore, un pò per nascondere la pelata, ma sempre maestro ai flauti e all'ukulele, col quale introduce molti pezzi.

Si prosegue con Thick as a brick, e il riscaldamento procede senza intoppi, poi si ripiomba in Aqualung con Up to me, che finisce di cuocere a puntino la platea dei circa 6mila presenti. E' qui che si fa un salto negli '80 con Farm on the freeway, tratto da Crest of a knave, secondo molti l'album della resurrezione, dell'inizio del nuovo corso dopo qualche parentesi un pò troppo contaminata di parti elettroniche, come The broadsword and the beast del 1982.

In questo pezzo sorprendono, ma soltanto i meno informati, le meravigliose parabole disegnate dalla chitarra di Mr. Martin Barre, 65 anni e non sentirli per niente.

La parte centrale della serata vola tra Aqualung in quantità industriale (molto apprezzata Mother goose) e divagazioni altrettanto di qualità come Heavy horses.

Dominatore assoluto Ian Andersen, 64 anni anche per lui, col suo cantato semi-sincopato, frutto di una scelta artistica precisa e non segno di fiato corto, perchè ai flauti il fiato non gli manca affatto, e la caratteristica mossa del fenicottero.

La sezione ritmica, David Goodier al basso e l'altissimo Doane Perry alla batteria, fa sostanzialmente il compitino ma non manca un colpo.

Le tastiere di John O'Hara, invece, danno una particolare modernità al sound di un classico come Hymn 43, che nella versione originale era molto più rozzo e magari amatissimo proprio per questo, ma la rilettura viene fatta nella giusta misura e non guasta assolutamente.

Si conclude con My God e Aqualung, delirio totale e poi con il bis di Locomotive breath a furor di popolo.

Tutti in piedi ad applaudire un mito che non accenna a calare, che ha incantato un pubblico da 0 a 99 anni.

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Stelline