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lunedì 3 ottobre 2011

Emma Maugueri, un'artista a tutto tondo

Emma hai molteplici interessi e ti esprimi con diverse forme d'arte, tra le quali la fotografia. Come nasce questa passione? La domanda potrei farla io a te: come e perché ci s’innamora? Nasce come nascono tutte le vere passioni: conoscenza, frequentazione, amore. Cercavo un metodo, un mezzo per catturare l’anima, gli attimi, le espressioni delle mille sfaccettature del mondo che ci circonda, qualcosa per raccontare quello che i miei occhi vedevano e vivevano. Una “fotografa di frontiera” nella jungla urbana, dove troppo spesso si vive in maniera troppo frenetica, per cogliere tutto quello che si ha intorno a noi, le bellezze del vivere quotidiano, attimo per attimo, sapendo cogliere quello che di buono ancora c’è: la bellezza del volto della persona seduta acconto a te in tram, la semplicità nel gesto di un bambino, la civiltà e l’inciviltà, un’alba o un tramonto, tutte le contraddizioni del pianeta, l’essenza insomma, tutto questo concentrato in un solo click.

Nelle tue opere fai comunque trasparire sempre delle influenze riguardanti la fotografia, pittura, scultura e decorazione. Come mescoli il tutto per trasformare questo mix in un tratto totalmente tuo?
Ricerco sempre uno stile nuovo, cerco di non fermarmi mai, avida di nuove forme di comunicazione. Cerco sempre di realizzare un’opera “in un click”, sempre nel più breve tempo possibile proprio perché la ricerca mi porta sempre voglia di realizzare qualcos’altro, di fatti i miei quadri sono tutti realizzati in tempi brevissimi, in un paio d’ore massimo. All’interno dei miei quadri, sentendomi limitata da una superficie come la tela, inserisco molte volte elementi differenti, vedi piume, fogli di giornale, e tutto ciò che mi si para davanti che possa lasciare un segno su di essa l’utilizzo come colore (matite, trucchi, terre, etc.) oltre ovviamente i normali colori (vedi le tempere, vernici, etc.) tutto può far parte di una mia opera, ritrovando in tutti questi elementi l’armonia e la spazialità che cerco/ricerco. Non vedo mai una tela come fine a se stessa, in verità in se ha una potenzialità infinita per le infinite ricerche per comunicare.

“Lego”, un tuo progetto fotografico, ti ha portato ad esporlo non solo in giro per l'Italia, ma anche in Giappone. Come quest’esperienza ti ha permesso di crescere? Quali emozioni sono emerse in quest'ultima occasione? Il progetto “Lego” nasce quasi per caso, come un vero e proprio gioco. Cercavo un modo per esprimere un concetto ben preciso: ho cercato di capire come gli occhi innocenti di un bambino possano percepire le centinaia di “bad news” che ci vengono propinate anche in orari non consoni e che effetti possano avere sulla sua immaginazione: crescerà con l’abitudine dell’orrore? Da questo pensiero nasce una ricerca durata quasi un anno sulle notizie apprese attraverso il web, cercando poi di racchiuderle in uno scatto, dove gli unici soggetti erano appunto i lego che descrivono l’ipotetica scena/accaduto: si capisce bene perché la mia scelta è caduta proprio su questi elementi, in loro si rispecchiano generazioni e generazioni. Ho avuto l’immensa fortuna d’aver avuto l’opportunità di portare questo progetto fino alla terra del Sol Levante. Quest’esperienza m’ha fatto crescere non solo artisticamente, ma soprattutto spiritualmente: essermi recata li ed aver conosciuto quella cultura ha lasciato in me un enorme solco. I loro templi, la loro religione… ho respirato realmente cosa vuol dire progresso ma non dimenticandosi mai le solide radici culturali e spirituali, connubio tanto raro da riuscir a trovare in qualunque altro luogo sulla terra. Tanto profondo è stato l’incontro con questa fantastica civiltà che anche il mio cammino spirituale è cambiato radicalmente: la pace interiore e l’equilibrio che si può raggiungere in armonia col resto degli elementi che ti circondano li è possibile. Non esiste li la delinquenza e il non rispetto del prossimo, non esistono tutti i valori sbagliati sui quali affondano le radici la nostra società e la cultura moderna, tante cose a cui noi oggi siamo abituati e che ormai non ci procurano il disgusto. Spero presto di potervi ritornare per approfondire il mio personale cammino spirituale e prendere ancora ispirazione dai quei luoghi.

Qual è il colore che spesso predomina nelle tue opere?
Premetto che, non per andare a scomodare uno che per me è uno dei maggiori maestri e non cerco certo il confronto, non potrei…ma un Picasso…definitemi il suo colore. Lui non aveva un colore, lui aveva dei periodi. Per me il discorso è simile, in base al mio umore, al periodo che affronto, “cambio colore”.

Quale artista del passato ti colpisce e ti somiglia?
Non la definirei una somiglianza con un’artista, ma forse con correnti artistiche: l’irriverenza dei futuristi, la sperimentazione degli avanguardisti, la poliedricità degli artisti spagnoli dell’ultimo secolo. Preferisco non essere collocata in nessuna categoria o assimilata a qualche artista del passato: odio la categorizzazione e l’imprigionamento all’interno di una qualche categoria, mi sentirei oppressa e non mi sentirei definita. La mia non vuole essere supponenza, ammiro chi prima di me ha fatto la storia, e di fatti io stessa preferisco non essere definita artista ma “artistoide”, gli artisti quelli veri sono altri. Sicuramente gli artisti che ammiro, oltre ovviamente i grandi come Da Vinci ecc, sono Picasso e Kandinsky: m’affascina il loro percorso e il loro esser riusciti a creare un nuovo linguaggio.

Qual è lo scenario artistico italiano che respira Emma? L'Italia è ancora la culla dell'arte, così come lo è stata in passato?
Lo scenario artistico? Viziato e opulento. L’arte, quella vera, rinnega il circuiti tradizionali, è underground, rifiuta tutti i circuiti tradizionali che hanno fatto ristagnare quella che un tempo era la culla dell’arte. Se la meritocrazia ormai è solo una chimera nel mondo lavorativo, provate ad immaginarla nel mondo artistico, ambiente malsano fatto solo di marchette e marchettari. In tempi non sospetti il grande Franco Battiato cantava “mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura”: dall’epoca i tempi non solo migliorati, anzi. Preferisco nel mio piccolo il contesto indipendente, dove ancora si può far arte liberamente senza dover sottostare al gioco del dio denaro e ai mercenari che al giorno d’oggi si ostinano ancora a chiamare “grandi artisti contemporanei”.

Progetti imminenti?
I progetti sono tanti. Continua è la mia ricerca e lo spostarmi da una forma d’arte all’altra. Con la fotografia sto affrontando un discorso simbiotico da un anno circa, con un pittore che traduce le mie opere fotografiche in dipinti, ovviamente attraverso la sua libera interpretazione: tutto questo si trasformerà presto, spero, in una mostra itinerante, in location diverse dalle consuete gallerie. Inoltre ho intrapreso da pochissimo anche la strada scenografica cinematografica, discorso bene o male già affrontato da me con piccole cose teatrali. Tento questa che per me è un’avventura tutta nuova che mi dà la possibilità di riunire in un unico mestiere tutto quello che ho appreso dall’arte in tutti questi anni di sperimentazione e di studio. Spero mi possa andar bene… sono molto fiduciosa.

giovedì 29 settembre 2011

La Double-ei del Design

Benvenute: Paola Argine e Cristina Alzati sono le creatrici di un duo creativo tutto al femminile. Come nasce il duo? Ci siamo conosciute lavorando per lo stesso architetto, qualche anno fa. Le nostre strade si sono unite, divise e poi rincontrate, a Milano. Eravamo entrambe scontente della nostra situazione. Abbiamo deciso di dare una svolta, di darci una possibilità… E così abbiamo creato double-ei.

Giovanissime e già protagoniste di numerose manifestazioni dedicate al design e ai giovani talenti. Qual è il premio o riconoscenza che vi ha più stupito?
Abbiamo realizzato qualche settimana fa un progetto interamente costituito da tubi di cartone (Fantubes, vedi foto) che è stato pubblicato da moltissimi siti e blog del mondo del design. Hanno scritto di noi in inglese, in spagnolo, in tedesco, ci ha perfino scritto un signore messicano per farci i complimenti: è stata davvero una grandissima soddisfazione!

Come nasce il progetto Cartochic?
Il cartone è bello, economico, puoi trasformarlo e fargli cambiare faccia ed è esattamente quello che abbiamo fatto noi! Avevamo un budget ridottissimo, abbiamo realizzato degli stencil e trasformato con pazienza e tante bombolette spray delle semplici scatole in un salotto rivisitato, utilizzato poi come set fotografico durante una festa di chiusura del Salone del Mobile presso lo Spazio Mil, a Sesto San Giovanni.

Quando design ed ecologia si uniscono per un mondo migliore, cosa accade nelle vostre menti creative?
Lavorare con materiali poveri, di recupero, di scarto, prevedendo pochi investimenti, è una sfida enorme. Devi riuscire a vedere quello che non c’è, immaginarti che tipo di seconda vita possono avere quegli oggetti.

Qual è il progetto utopistico che vorreste però vedere realizzato o realizzare voi stesse?
Per noi in questo momento il progetto più difficile da realizzare è proprio “farcela”. Stiamo ricevendo e collezionando tantissimi complimenti e soddisfazioni. Ma è molto dura iniziare, soprattutto dal punto di vista economico. Ma lavorando in due è più facile. Riusciamo a sostenerci nei momenti difficili. Speriamo tra cinque anni di avere un bello studio di design, con clienti e lavori di ogni genere, ehxibit, fashion, product, packging: speriamo non sia un progetto così utopistico.

Progetti imminenti?
Uscirà verso ottobre/novembre una nostra collezione di Jewels per un grosso sito di vendita on-line. Realizzeremo alcuni allestimenti e stiamo collaborando con un nostro amico designer per realizzare una linea di lampade.

lunedì 26 settembre 2011

Qui ci sono i draghi tutt'ora, intervista a Cecilia Testa

“Qui ci sono i draghi tuttora” è il tuo ultimo libro. Brevemente, come nasce? ‘Qui ci sono draghi tuttora’ nasce dal desiderio di spiare le nostre esistenze dall’interno. Attraverso un punto di vista neutro: quello degli animali che condividono i nostri spazi.

Gli animali sono i protagonisti di questa serie di racconti: qual è quello al quale sei più affezionata o ti ha ossessionato durante la stesura?
‘Non omnis moriar per amore’: il racconto del bambino che si trasforma in istrice. Il linguaggio fabbrica piano, attento alla costruzione delle frasi e delle immagini. Per condurre, come in una favola, a una rivelazione finale.

Quando nasce la Cecilia scrittrice?
Nel 2005 ho vinto il concorso per racconti inediti ‘Natale d’incanto’. Concorso indetto da Scuola Holden. Era il primo concorso a cui partecipavo. L’ho vinto tra 179 . Il racconto, ‘Indagini di Babbo Natale’, è stato pubblicato su Vanity Fair. In seguito è confluito nella raccolta ‘Pallottole fermate in volo’.

Dalle tue note biografiche, leggiamo che da 12 anni leggi e rileggi “Achille Innamorato” di Savinio. Come mai?
Qui penso sia meglio far parlare Savinio stesso: ‘Quanto a un surrealismo mio, se di surrealismo è il caso di parlare, esso non si contenta di rappresentare l’informe e di esprimere l’incosciente, ma vuole dar forma all’informe e coscienza all’incosciente’.

“Pallottole fermate in volo” è il tuo primo libro, con connotazioni metaletterarie. Da cosa si differenzia dal tuo ultimo libro?
‘Pallottole fermate in volo’ non riflette l’idea circoscritta di un genere tradizionale. Piuttosto: insiste sui processi contraddittori dello scrivere in sé. Invece in ‘Qui ci sono draghi tuttora’ si cerca un mondo simbolico e altro.

Essere scrittori oggi è una vocazione o un lavoro?
Si lavora per la gloria. In Italia, intendo.

Come mai hai scelto l'autopubblicazione per il tuo ultimo libro?
Ogni racconto che va a comporre il bestiario è preceduto da una fotografia scattata da me. Volevo avere il pieno controllo sulla grafica.

Progetti futuri?
Un romanzo destrutturato.

venerdì 16 settembre 2011

L'arte del Burlesque

Intervista a Milena Bisacco. 
Milena Bisacco.
Foto di Lorenzo Paxia
Hai un percorso professionale e artistico molto variegato. Dal commerciale al marketing per una major discografica, alla passione per il teatro, la danza e anche burlesque coach. Qual è il filo conduttore che ti ha portato a divenire la Milena Bisacco di ora? Semplicemente ho avuto la fortuna di coltivare per una vita, mezza vita per ora, le passioni unitamente ad un lavoro fantastico che mi entusiasmava molto. Solo quando questo ultimo non mi ha entusiasmata più ho deciso di mettere il mio knowhow lavorativo nella mia passione artistica. Quindi ho imparato a comunicare di ciò che mi piaceva fare e a circondarmi di persone che mi potessero aiutare a sviluppare meglio la mia attività.

Negli ultimi anni il Burlesque è tornato alla ribalta, grazie anche a tantissime professioniste -e non- che hanno riscoperto questa “forma espressiva”. Vuoi spiegare ai nostri lettori brevemente in cosa consiste?
Lo dice la parola stessa, Burla. Parodia a volte grottesca ma molto spesso uno specchio per la donna che ha voglia di vedersi in altre vesti. Non svestita, ma in altri panni, dei molteplici personaggi femminili che il nostro corpo incarna. Nacque come una forma di spettacolo, intrattenimento a tutto campo con artisti di vario genere e arriva a noi come semplice strip-tease ma in realtà non è solo questo, anzi io dello strip insegno solo il “tease” cioè quel lungo “stuzzicare” che piace tanto agli uomini e tantissimo alle donne.

In che modo tu da Burlesque coach aiuti le donne che si rivolgono a te?
Ho diverse tipologie di insegnamento a seconda di chi ho di fronte. Un conto è la professionista e quindi come per le ragazze dell’agenzia Voodoo De Luxe, si costruiscono gli act con mesi di lavoro perché ogni cosa nel dettaglio e nei movimenti deve essere studiata e soprattutto adattata perché non sempre hanno a disposizione grandi palcoscenici per esibirsi, insomma si lavora su un progetto specifico ed è molto interessante perché si partecipa comunemente alla buona riuscita; diversamente nei corsi che tengo dove nessuna allieva ambisce a diventare una burlesquer si studia e ci si esercita su come poter dare miglior risalto alla propria figura non solo esteticamente parlando ma anche a come porgersi in pubblico o in privato. A quanto mi dicono…. il corso cambia la vita!

L'arte della seduzione, con un pizzico di humor: le donne vincenti è così che conquistano?
Si si certo anche! Non puoi solo far ridere, non devi mica raccontare barzellette, ma quel tocco di humor unito al savoir faire è una miscela esplosiva e gli uomini gradiscono. Mai troppo però sempre tutto molto dosato altrimenti capiscono che vali più di loro! comunque è bello piacere anche alle altre donne, anche questa è conquista.

Per coloro che vogliono avvicinarsi all'arte del Burlesque, cosa possono fare? Quali sono i requisiti?
Anzitutto vedere uno spettacolo dal vivo, le nostre serate “Royal Burlesque Revue” riprendono a brevissimo ma spesso siamo itineranti esempio siamo stati al Summer Jamboree in agosto a Senigallia. Non ci si può fermare a ciò che propone il web o la tv. Il burlesque va vissuto, come per qualsiasi altra forma di spettacolo. Un conto è vedere un cantante in tv, altro è vederlo dal vivo. Poi ci sono i corsi in milano o in giro per l’italia (*). Nessun requisito specifico, certo se hai fatto un po’ di danza o teatro sei avvantaggiata ma non è un obbligo e per fortuna non esistono canoni estetici, anzi, viva le curve!

Inoltre collabori con MilanoDanza: come nasce questa collaborazione? Quali progetti vedremo sviluppare prossimamente?
La collaborazione nasce attraverso Les Soeurs Tribales, compagnia di danze etniche nonché atelier base dei miei corsi a milano. Il filo che unisce è quello della danza del ventre mia grande passione che ho praticato per 10 anni. Questo anno come per l’anno scorso mettiamo in scena ETNICA, una rassegna all’interno della manifestazione Milanodanza, voluta da Simone Ranieri direttore artistico che mi ha permesso di gestire in toto la rassegna di danze folk. Adorabili tribù!

Le “rivoluzioni” al femminile, anche negli ultimi tempi, destano sempre scalpore e grande partecipazione da parte delle donne. Allora non è proprio così vero che non esiste la coalizione tra donne, come spesso voglion farci credere.
Chi l’ha detto? Anzi, per niente, certo che siamo coalizzate, magari con interessi differenti ma tra donne ci si aiuta eccome. Penso solo ai gruppi che si formano durante i miei corsi, vederle unite in una passione comune che prosegue fuori dall’aula nella vita è di grande soddisfazione.

Quali sono le grandi donne che ammiri e che secondo te hanno lasciato un segno nella storia della civiltà umana?
L’elenco sarebbe davvero lungo. Ammiro ogni donna che si sia distinta negli ambiti della politica, della scienza, arte per non parlare delle grandi donne di spettacolo mi sento davvero inopportuna solo a citare il nome della grande Eleonora Duse. Grazie a dio ci sono parecchie donne viventi che ancora possono fare molto a loro va la mia grande ammirazione e il mio sostegno. Ma sopra a tutte una, Maria Maddalena, si quella donna era “la prescelta” non solo per me...

Progetti imminenti?
Continuare a fare quello che faccio ora che mi piace molto. Nel cassetto? Spettacolo di burlesque a teatro, itinerante per le città, così che tutti possano goderne!

Qualche chicca sui nuovi corsi..
Sabato 22 Ottobre a Milano ci sarà uno stage Burlesque con Kitten De Ville, proveniente direttamente dagli Usa. Il Royal Burlesque Revue riapre la stagione spettacoli sabato 8 ottobre 2011.

(*) riferimento per i corsi 2011/2012 ANDREW’S SCHOOL DANCE – via simone d’orsenigo MI BEST PRICE palestre – via sansovino (vle abruzzi) MI LA SCUOLA DI CIRCO – via napo torriani MI www.teatrocirco.it Più stage a cremona e perugia

Info: www.voodoodeluxe.com
www.burlesquelife.com

www.royalburlesque.it

Fabrizio Romagnoli, una vita da attore



 Fabrizio Romagnoli inizia la carriera di attore nel 1989 recitando con le più importanti Compagnie di giro italiane. Si trasferisce in Germania, dove ha avuto modo di collaborare con artisti internazionali in cast come “Cats” e “Buddy Das Musical”. Dal 2003 rientra in Italia e prosegue la sua attività includendo nel suo percorso cinema e televisione. Fra i tanti cast a cui prende parte: “Il Generale Dalla Chiesa” per la regia di Giorgio Capitani e “Giorgione da Castelfranco, sulle tracce del genio” per la regia di Antonello Belluco. Nel 2005 in parallelo con la sua confermata carriera d’attore inizia quella di drammaturgo, di regista teatrale e di insegnante di recitazione.

Attore, autore e regista: Fabrizio Romagnoli è un poliedrico artista. Ma in quale di questi tre ruoli ti ritrovi meglio?
Tutti e tre i ruoli mi riconducono alla recitazione e questo è il mio mondo: vivo per questo! Logicamente quello dell’attore mi calza perfettamente. Però anche quando sono in veste di regista o di autore la recitazione mi guida sempre. Mi piace recitare tutto quello che scrivo mentre lo scrivo e non in scena. Non recito i miei testi a meno che non mi venga chiesto espressamente da chi richiede un mio spettacolo. Mi fa piacere essere diretto da altri registi. Come regista invece mi dà un’immensa gioia portare gli attori a dei livelli di recitazione che neanche loro avrebbero immaginato e poi mi ringraziano sempre. Come vedi il tutto a sempre a che fare con la recitazione.

Come è iniziata la tua carriera?
Così per gioco. Non volevo lasciare andare la mia ragazza da sola alla scuola di recitazione dove frequentava danza. Ora lei è uno scienziato, nel vero senso della parola, e io mi ritrovo a fare l’attore. Bella la vita, no? Ma ne sono veramente felice. Poi, cosa a me sconosciuta all’epoca, scoprii di essere un grande timidone e la scuola di recitazione mi risultò il posto ideale per esprimermi e per esorcizzare la mia emotività.
Hai poi deciso di girare il mondo, per poi tornare ad esercitar l'arte in Italia: come mai questa scelta? Dopo 5 anni all’estero vissuti felicemente e con successo, questa grande produzione mi offrì un contratto di 18 mesi a Berlino. Subito pensai che non sarei più tornato in Italia e poi invece prese il sopravvento la sfida: ma perché devo essere famoso fuori dalla mia patria? Convinto della mia idea tornai in Italia. Ora, purtroppo, ho scoperto che la parola meritocrazia in Italia esiste solo sul vocabolario… troppo tardi! Ma sono felice comunque del mio percorso attuale.

Quali differenze hai poi riscontrato tra il lavorare all'estero e in Italia?
All’estero se sei bravo, lavori! Qui sopravvivi quando il raccomandato di turno rinuncia al ruolo! All’estero i provini sono seri e la raccomandazione può fermarsi alla tipica e amata segnalazione, ma il provino poi si fa alla pari. C’è dedizione al mestiere, allo studio, al migliorarsi sempre. I rapporti sul luogo del lavoro sono diretti e alla pari e senza paura di essere eliminati: all’estero si è fra professionisti. Un non professionista all’estero può solo fare una o due esperienze se è fortunato.

Cinema, tv o teatro? Qual è il grande amore di Fabrizio?
Il mio grande amore, quello che mi conquistò l’anima fin dall’inizio, è il cinema ma torniamo sempre allo stesso punto di partenza: qui se non conosci, non esistono provini. Ho fatto tanto teatro e il teatro non ti tradisce mai se lo sai fare. Poi è subentrata la scrittura: pensa ero convinto di non sapere scrivere. Sono stati gli altri a decretare che non era vero e in primis il mo editore che mi ha pubblicato senza contributo d’autore. Lo ammetto: è una gran fortuna pubblicare un libro di atti unici in un momento in cui la gente non legge più neanche i romanzi.

Quale esperienza ricordi con maggior emozione?
La mia prima tournée teatrale, a 18 anni. 10 mesi in giro per l’Italia e la compagnia mi aveva assegnato anche la macchina di produzione... Indimenticabile! E poi Cats, come protagonista per due anni in Germania e in tedesco, ovvio. Ancora lo sogno di notte.

C'è stato un ruolo che hai deciso di non interpretare o non interpreteresti mai?
No, tutti i ruoli sono importanti sia per una crescita personale sia per il rispetto del mestiere. La cosa brutta è che ora si chieda di lavorare a gratis per le prove e ad incasso per le repliche, ma se lo chiedessero ad un elettricista, un calzolaio, un muratore, tutti mestieri rispettabilissimi, la risposta sarebbe: no! L’attore spesso si trova ad accettare. Sto lottando con tutte le mie forze affinché cambi il sistema. Più i ruoli sono differenti e più mi appassiono! Anche se chi sceglie, e purtroppo non è più il regista o l’aiuto regista, prima di farti fare un "carabiniere" vedono se ne hai fatti altri per essere sicuri che lo sai fare. Ma un semplice provino, no?

Come un attore si prepara sempre ad interpretare ruoli differenti?
Ci sono tante strade da poter seguire e ogni attore ha la sua a partire dall’istinto. Di sicuro fare riferimento al metodo Stanislavskij può aiutare molto e in alcuni casi salvare. Il metodo Strasberg di certo è ottimo. Mi piace molto come fanno gli americani che si trasformano e ogni volta sembrano diversi, infatti il mio showreel è così e sono stato fortunato a poterlo fare nei lavori che ho svolto. Credo che per interpretare bene un ruolo bisogna studiarsi e studiarlo molto, ore e giorni, sperando di trovare dei puro sangue sul set.

Ne “La Valigetta”, corto che ha ricevuto numerosi premi (EurAsia Shorts 2011 – Washington Dc (USA), Creativi per Costituzione, Videofestival Fransceco Pasinetti – Venezia, EfeboFilmFestival – Sicilia (Castelvetran), Algidus Art Film Festival) qual è il tuo ruolo? Raccontaci di questo corto che ha avuto un così tanto successo.
Ne “ La valigetta” sono il protagonista, interpreto il padre. Il corto ha come spunto di partenza l’articolo 4 della nostra costituzione. Il figlio vede suo padre sempre vestito bene e con una valigetta e pensa che suo padre sia importante perché vestito così fa un lavoro importante. In realtà è un disoccupato che tutti i giorni va in cerca di lavoro e non ottiene nulla. Il regista Sebastiano Melloni e la produzione CameoLab hanno osato e sono stati ricompensati: ammettere la realtà dei fatti non è sempre semplice quando si usa una cassa di risonanza come il cinema, perchè a volte si dà fastidio. “La valigetta” ha fatto riflettere chiunque l’abbia visto perché, in realtà, è una poesia amara e tagliente di 2 minuti e 30 secondi. Ha vinto tanti premi e sta continuando a vincerli.

Progetti futuri?
Dal 10 luglio fino alla fine del mese, ogni domenica, vanno in scena a Villa Celimontana (Roma) i miei spettacoli per bambini che ho anche diretto e sono interpretati da bravissimi colleghi attori. L’8 agosto, sempre a Villa Celimontana (Roma) andrò in scena io con “Canta che ti passa!” Uno spettacolo (musical) comico demenziale sul mondo dello spettacolo. Il 28 luglio ci sarà la presentazione del mio libro “Teatro contemporaneo” nel mio paese nativo: Tolentino (Mc). E poi… per scaramanzia… si vedrà! Grazie Sara per avermi ascoltato e un saluto a tutti i lettori!

lunedì 25 luglio 2011

E' soltanto una favola

Le favole hanno sempre un lieto fine. Come quella di Roberta Morise.
 

“E' soltanto una favola” è il tuo album d'esordio. Come nasce la favola di Roberta Morise?
Ho intitolato il disco “E’ soltanto una favola” perchè ben rappresenta il momento che sto vivendo. Da un piccolo paesino come Cirò Marino in provincia di Crotone mi sono ritrovata sul palco di Miss Italia, poi in Rai ed ora la proposta di pubblicare questo disco con Azzurra Music. Come non definire tutto questo una favola?!

Un disco ricco di grandi successi, reinterpretati in una chiave originale e raffinata. Come mai questa scelta? Tra i brani presenti: “Cento Giorni” (Caterina Caselli), “Non esiste l'amor” (Adriano Celentano), “Piccolo ragazzo” e “Bang Bang” (Sonny e Cher), come hai selezionato i brani?
Abbiamo cercato di scegliere brani di artisti molto noti ma portati al successo negli anni sessanta / settanta, quindi non proprio conosciutissimi al grande pubblico contemporaneo. Da lì la scelta di “Non esiste l’amor” di Adriano Celentano, un brano stupendo che stava per diventare il primo singolo, o “Cento Giorni” di Caterina Caselli. Sono cresciuta ascoltando i grandi della musica italiana, sopratutto Mina: per questo ho scelto anche “La Mente Torna”. Poi abbiamo inserito anche “Bang Bang” perchè l’avevo già portata in Rai alla trasmissione "Migliori Anni". Ovviamente i brani necessitavano di essere riarrangiati: ne è uscito un suono più moderno ed elegante che mi ha molto soddisfatto.

All'interno dell'album vi sono anche due brani inediti, uno è “Ma che mi ha fatto l'amore” di Cristiano Malgioglio. Come nasce la collaborazione? E qual è l'altro brano inedito?
“Ma Che Mi ha Fatto l’Amore” è un inedito scritto da Cristiano Malgioglio, uno dei nostri autori migliori di sempre. Ci siamo conosciuti in diverse occasione: sapevo che è un grande autore. Mi è stato impossibile non coinvolgerlo. Il singolo “Dubidoo” invece è entrato all’ultimo momento: mentre eravamo in studio di registrazione a Verona ci hanno fatto ascoltare questo brano e ci ha conquistato subito perchè è un vero e proprio tormentone. Il videoclip poi, girato da Stefano Poletti, è venuto veramente bene.

Quando la passione per la musica è nata in Roberta?
Fin da piccola ho sempre desiderato cantare, per me è proprio una favola.

Progetti imminenti?
Ora c’è tutta la promozione del disco ed è giusto concentrarsi sul progetto.

giovedì 21 luglio 2011

La Fame di Camilla

Intervista a Ermal Meta cantante de La Fame di Camilla








“Storia di una favola” è il vostro singolo di debutto. Qual è la favola de “La fame di Camilla”? Le favole sono tante, ma andare avanti per questa strada è sicuramente la più bella tra tutte quelle che vorremmo continuare a raccontarvi. Basterebbe per dare senso alla parola “sogno”.

Molteplici premi -Miglior videoclip, Premio rivelazione IndiePop dell'anno- per un album nato come un desiderio espresso durante la notte delle stelle cadenti. Ve lo aspettavate? Sinceramente no! Avevamo molte canzoni, ma non pensavamo di farne un album. Il resto è stato solo una conseguenza di incontri fortuiti con le persone giuste. Il nostro pensiero era fare più concerti possibili, anzichè stare in sala prove, infatti anche ora stiamo realizzando il disco nei ritagli di tempo fra un tour e l'altro!

Tra sogno e realtà: qual è il sogno che vorreste tirare fuori dal cassetto?
Non saprei! Forse, tornare indietro nel tempo e scrivere "Hallelujah", rifiutare una collaborazione con Lady Gaga per cantare con Thom Yorke al Glastonbury Festival... oppure lasciare una traccia nella musica italiana, seppur piccola.

Nel 2010 arriva anche la partecipazione al Festival di Sanremo con il brano “Buio e Luce”. Come avete vissuto questa esperienza?
In verità ci siamo divertiti moltissimo! Abbiamo fatto una piccola vacanza di una settimana e abbiamo interrotto la nostra attività live per qualche settimana. Subito dopo siamo partiti per un tour che da allora non si è più fermato!

Qualche anticipazione sul nuovo album in preparazione? Cosa dovranno attendersi i fans?
L'album nuovo avrà un impatto molto più live. E' stato quasi interamente scritto in tour per cui è anche più coeso del precedente sia da un punto di vista sonoro che di songwriting.

Il vostro tour è inarrestabile: ma dove sarebbe un sogno suonare per “La Fame di Camilla” ?
In verità La Fame di Camilla è nata in tour! Da quando ci siamo formati non ci siamo quasi mai fermati. E' bello suonare ovunque, ogni posto diventa un palco. Un piccolo sogno è stato coronato l'anno scorso in occasione dell'Heineken Jammin Festival. Abbiamo suonato prima di Stereophonics, Cranberries e Aerosmith! Non ci potevamo credere... indescrivibile.

Cosa sentireste di dire a coloro che intendono intraprendere il cammino di musicista? Consigli o “esperienze” da condividere con loro?
E' un cammino molto difficile, ma molto ricco di soddisfazioni. Non c'è una regola, noi abbiamo adottato la nostra ed è stata quella di suonare ovunque, senza farci nessun problema e continueremo su questa linea. E' un'epoca in cui c'è fin troppa offerta e il pubblico te lo devi andare a conquistare sul campo! Come direbbe il nostro batterista Lele: "suonare, suonare e suonare"!

Progetti imminenti?
Per ora vogliamo solo finire il disco e aspettare che esca in autunno. Ma questo solo perchè non vediamo l'ora di suonarlo dal vivo!

mercoledì 20 luglio 2011

Gianni Gandini e "La doppia anima del labirinto"


Incontriamo l'autore de "La doppia anima del labirinto", di Mursia Editore.


Musica, musicoterapista e scrittore: chi è Gianni Gandini?
Nasco come musicista negli anni ‘80, gli studi di pianoforte in una, per quei tempi, delle prime scuole jazz in Italia (La Nuova Milano Musica) ma gli interessi letterari mi spingono alla ricerca di un possibile abbraccio tra la musica ed altre possibilità espressive, didattiche, educative. Da qui un percorso verso una ricerca personale che mi ha portato ad attività differenti.

E' uscito in questi giorni il tuo ultimo libro: “La doppia anima del labirinto” (Mursia Editore). Un libro questa volta rivolto ai più giovani -ma non solo. Raccontaci questa nuova avventura letteraria.
Credo sia importante portare ai ragazzi il fascino del mito, con una forma narrativa divertente ed avventurosa. Per questa ragione ho fatto rivivere il mito del labirinto in questo libro, ambientandolo ai giorni nostri, dove un novello Teseo, uno sveglio ragazzino che frequenta le scuole medie, finirà imprigionato in un labirinto, faccia a faccia con un vero Minotauro, con tanto di filo (interdentale) dell’amata Arianna. Da questa avventura, straordinaria ed appassionante, potrà riemergere solo quando avrà imparato a leggersi dentro e a comprendere davvero l'anima del labirinto.

Nello scrivere per un pubblico adulto e per un pubblico per ragazzi, sicuramente ci sono delle differenze. In che modo Gianni “affronta” i piccoli lettori? Giocando molto sull’ironia e la curiosità dei bambini e dei ragazzi e, naturalmente, ascoltando i riscontri delle mie figlie, che seguono con attenzione ciò che scrivo.

La musica è parte integrante del tuo essere: anche nei tuoi libri troviamo la musica protagonista o resta sullo sfondo?
La musica non può non entrare nei miei libri, a volte diventa una delle chiavi di lettura dei miei romanzi, anche perché ritengo che il mondo sonoro sia estremamente importante nel nostro quotidiano. E’ vitale e presente in noi fin prima della nostra nascita. Noi cominciamo a conoscere il mondo attraverso i suoni percepiti dall’esterno, attraverso il battito cardiaco di nostra madre.

Ti sei immerso anche nel cinema, scrivendo e poi seguendo la regia di alcuni corti. A quale sei più affezionato?
Sicuramente “Amat Deus”, un piccolo grande cortometraggio che ho scritto per la Fondazione Don Carlo Gnocchi, per promuovere il volontariato creativo e al quale hanno partecipato, accanto a ragazzi disabili, più di 250 persone a titolo gratuito, tra gli altri, Paolo Cevoli, Mauro Pagani, Marco Marzocca, Alessandro Cecchi Paone, Franco D’Andrea, Elio e Rocco Tanica, Ian Gillan, Elena di Cioccio, Franco Mussida, Claudia Penoni, Moni Ovadia ed Enrico Ruggeri.

Ti piacerebbe veder trasportato su pellicola “La doppia anima dei labirinto”? E quale regista sceglieresti?
Sai che le mie figlie me l’hanno chiesto proprio alcuni giorni fa? In effetti si presterebbe bene ad una trasposizione cinematografica… Che ne dici di Tim Burton? Se ti capitasse di incontrarlo puoi lasciargli il mio numero di telefono. Ma vedi di farlo penare un po’…

Musica e immagini: spesso sono complementari ed indivisibili. Come la musica arricchisce le immagini e viceversa?
Come in qualsiasi riuscito progetto la vera magia sta nell’equilibrio, anche se occorre capire che messaggio veicolare e cosa andiamo a valorizzare di volta in volta (l’aspetto scenico, la recitazione o il suono)

La musica anche come terapia: puoi spiegarci come la musica entra nella vita delle persone per migliorarla?
Musicoterapia è un termine che va trattato con molta cautela. Spesso leggo cose che mi fanno rabbrividire, argomenti trattati con una certa superficialità. E’ chiaro che il suono ha un effetto benefico, energizzante o rilassante, per chiunque, ma non possiamo pensare alla musica come una pillolina da prendere prima di coricarsi. Quando parliamo di terapia dobbiamo, ad esempio, pensare a persone con difficoltà psico-motorie, disagio, disabilità, dove l’elemento sonoro è uno strumento per facilitare la relazione, il movimento, l’intervento terapeutico.

Progetti imminenti?
Sono in uscita a breve altri due libri, uno per ragazzi, sempre per Mursia (dove ripercorro il viaggio di Ulisse in una Milano invasa dall’acqua) e uno per bambini, per Arka Edizioni, che racconta di una gatta che si prende cura della famiglia che la ospita. Ma stiamo anche cercando, con alcuni validi collaboratori, di aprire iniziative cinematografiche, letterarie e musicali, dove espressività e creatività vengano indirizzate verso il sociale.

lunedì 18 luglio 2011

Alberto Donatelli, il Rocker artigiano

Alberto, tu stesso ti definisci un rocker artigiano: in cosa consiste questo “mestiere”? Consiste in una serie di incredibili, affascinanti e “faticose” attività. Da umile operaio, o artigiano appunto, della “mia” musica. Perché sono un "Rocker artigiano"? Beh, in questo periodo sto iniziando la preparazione del mio quarto album. Al 99,9% le prime 2 settimane di agosto (altro che mare, ferie sole e amore!) effettuerò le registrazioni. Certosinamente, mentre promuovevo il mio precedente disco (2009) ho scritto come sempre musiche e parole dei nuovi inediti. Nel frattempo cercavo il nuovo bassista nonchè arrangiatore delle nuove 11 canzoni: che di recente ho finito di provare in studio con la mia band. Contemporaneamente assieme a tre carissimi amici seguo anche la grafica del Cd, le foto e la preparazione del nuovo sito. Con altri fidati collaboratori mi occuperò della stampa, andrò in Siae per i permessi ed bollini di legge. Intanto sto cercando anche dei locali dove presentare il disco dal vivo e dove fare la distribuzione su Web e nei negozi. Senza dimenticare la valanga di e-mail e comunicati che sto iniziando lentamente a preparare per l’invio ai media! 100% tutto da autogestito ed “autonomo”. Beh, più artigiano di così !

Alberto è cresciuto a latte e musica: come nasce questa grandissima passione?
Nasce per “merito” dei famosi “NO” che aiutano a crescere. Non era proprio ben vista la mia idea di essere un cantautore, già quando avevo 15 – 16 anni. Per questa ragione, affettuosamente comunque, in famiglia si cercava di darmi una direttiva più saggia. Ma più accadeva e più mi incaponivo invece a voler scrivere musica e canzoni. Ma nel 1990 ci fu un evento fatale per me: vidi Vasco allo stadio Flaminio di Roma in uno dei suoi primi mega eventi da Dio del Rock: l’eccitazione, la gioia e l’emozione non mi hanno più abbandonato. Volevo, voglio e vorrò vivere della scrittura delle mie canzoni.

Il tuo primo singolo “Gli occhi di Alessia Merz” è diventato un piccolo cult nel 2001, anche per via del tuo numero inserito nel singolo e nel video. Quando hai iniziato a ricevere telefonate o sms, come l'hai presa? C'è stato qualcuno che ti ha infastidito o qualcuno che invece ti ha offerto delle proposte lavorative?
Beh, in verità è tutto più semplice di quanto si creda. A quel tempo (“Gli occhi di Alessia Merz” l’ho scritta a poco più di vent’anni!) frequentavo una ragazza che mi aveva colpito solo ed esclusivamente perché somigliava moltissimo ad Alessia Merz, in particolare il viso e gli occhi. Confesso infine che ero tra coloro che saltavano la scuola -di tanto in tanto- per andare negli studi dove registravano “Non è la RAI” per ammirare Alessia! Alla fine un po’ pensando ad Alessia, un po’ alla ragazza che frequentavo, ho scritto questa canzone, molto (forse troppo!) easy-listening! Molti mi hanno infastidito ma soprattutto perché pensavano fosse uno scherzo invece era il mio vero numero! Ricevere sms e telefonate è stato sempre divertente credimi, certo qualche idiota non è mancato! Infine è uscito qualcosa inerente al “Lavoro” ma nulla di trascendentale in effetti, giusto qualche serata live. E’ stato simpatico ma “duro” essere usato come video e brano per essere preso in giro sull’ormai defunta All Music e su Radio Rock.

Da quel primo lancio, sono passati ormai 10 anni: come si è evoluto Alberto in questo lasso di tempo?
“Eh già”…citando Vasco. 10 anni, sono volati, però nel mio piccolo “anche io, sono ancora qua”. Le difficoltà continuano, anzi, pare aumentino! Ma per mia fortuna da un po’ ho la consapevolezza di come “combatterle” e soprattutto ho la giusta prospettiva con cui guardarle. Prima non curavo molto i “Live” né il mio prodotto/canzoni e tentavo qualunque strada per andare nei network radio o in TV. Ora che ho capito bene chi sono, mi concentro totalmente sulle mie canzoni/Cd e sui concerti. Certo, sempre ben lieto di andare in radio e Tv, laddove si presentasse l'occasione. Ma come aspetto bilanciato e non predominante. Sono un Rocker, un cantautore, non un curatore di look, né un ufficio stampa. Un grande saluto e merito ai 3 “folli” musicisti (la band chiamata: il ROCKificio ) senza i quali non potrei far nulla di concreto e che da anni si danno da fare con me per il progetto discografico “Alberto Donatelli”: permettimi di citarli, ringraziarli anche qui e salutarli. Roberto Franzò (chitarra solista), Francesco De Chicchis (batteria) e Duccio Grizi (basso/arrangiamenti/cori).

Cosa è cambiato invece nel panorama discografico musicale italiano?
Non mi dilungo anche per non diventare retorico o sembrare “rosicone” (invidioso alla romana). Alcuni anni fa la lotta era tra un Vasco e Ligabue: dagli esordi sfolgoranti e che dopo 30 o 20 anni sono ancora qui. E chi non arrivava a così tanto è oggi un grande ad ogni modo, come Massimo Priviero o un Alessandro Bono che solo un male incurabile ha eliminato dalla scena. O come per il BOSS o Bon Jovi negli Usa. Oggi vediamo un “piccolo” genio come Moltheni costretto a dire addio alla sua carriera per mancanza di spazio e come accendo la radio (cosa sempre più rara) si ascoltano solo i Modà, Marco Carta & co. E’ cambiato vertiginosamente il voler rincorrere il piattume perché è un terreno più comodo e quindi più frequentato: genera più riscontri. E facili consensi. Amen. Grave anche il fatto che se hai una cover band o una Tribute band, hai molte oiù possibilità di suonare nei locali, mentre da semi sconosciuto se vuoi proporre i tuoi brani, o non c’è posto o devi pagare lo spazio “promozionale” nel locale, oppure bene che ti va, devi portare tu il pubblico. Io sono un rocker non un PR.

Nel novembre di quest'anno uscirà il tuo 4° album: puoi darci qualche anteprima?
L’anteprima è che se non riuscirò a far rispettare i tempi di alcune questioni burocratiche forse la pubblicazione potrebbe dover slittare di minimo uno e spero massimo tre mesi. Ma sono sereno perchè nessuno si strapperà i capelli. Autoironia a parte, posso anticiparti che ci saranno 11 inediti più una sorpresa e –sicuramente- un mio brano a cui sono legatissimo: “8 Stagioni”, completamente remasterizzato, più “Rock” e totalmente ricantato. Il titolo è quasi sicuro ma ho piccoli dubbi: è comunque la citazione di un concetto bellissimo che mi ha aiutato a superare gli ultimi 2 anni di difficoltà “discografiche” ed è opera di un noto architetto. Comunque sarà svelato nella mia pagina artista di Facebook e nel mio sito web dopo l’estate, entro fine settembre direi. Ci sarà un probabile cambio di rotta: credo che esisterà solo col CD fisico numerato e sul mio sito web ufficiale con apposito jukebox del distributore: regalare musica free & Mp3 a tutti non aiuta gli emergenti e chi non ha spinte da dietro.

Progetti imminenti?
Oltre a tutta l’ imminente mole di lavoro per la realizzazione del 4° album in uscita entro inizio 2012, c’è già in programma la preparazione (ancora Top-Secret) di un DVD live ripreso in Toscana all’interno di un teatro bellissimo. Un progetto pensato insieme ad uno dei maggiori nomi del giornalismo musicale indipendente e che conterrà almeno 15 brani dal vivo più almeno altri 3 brani solo audio inediti. Spero possa uscire nel 2014, come mio 5° album. Infine pensare. Tanto. Tanto pensare! Un grande grazie a te, a tutti i lettori e … che Rock sia. Alberto Donatelli.

venerdì 15 luglio 2011

Natascia Pane alla conquista del mondo

Natascia Pane, fondatrice di “Contrappunto Literary Management”, dopo quasi 10 anni di successi in Italia, apre al mercato spagnolo e all'America Latina. Come si arriva a raggiungere questi traguardi? Posso risponderti con molta semplicità? Ci si arriva con amore. Per la Bellezza, per il suono delle parole, quelle parole il cui peso è come pietre, e come tali possono distruggere o costruire, a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare. Amore e passione per le persone dalle quali sono circondata, che sono in primo luogo gli scrittori che gestiamo da quasi un decennio oramai, ogni giorno. So di sembrare molto retorica, in questa mia risposta. Ma è l’energia positiva che cerco di imprimere a tutte le nostre azioni che funge da vero motore propulsivo verso tutti i grandi traguardi che siamo riusciti a raggiungere in questi anni. E, come tutte le energie, esse sanno creare un vortice che trascina come un’onda, portandoci spesso molto più lontano di quanto avremmo mai immaginato. E’ un movimento ‘irresistibile’. Di certo, posso dirti che sullo stesso piano occorre mettere, soprattutto quando si opera in campo internazionale, una reputazione che possa essere davvero di ferro. E una capacità di affrontare nuovi mercati con occhi sempre nuovi, attenti, curiosi e, perché no, a volte un po’ ‘dissacranti’, per costruire quel moderno ‘design’ dell’editoria contemporanea che mi piace da sempre creare con Contrappunto.

Quali servizi quindi per gli autori italiani che avranno modo di avere una vetrina anche in questa nuova conquista di mercato?
Stiamo gestendo i diritti per la Spagna e l’America Latina della maggior parte dei nostri scrittori italiani, sia editi che inediti. In particolar modo, per gli autori da noi seguiti ancora inediti in Italia, stiamo operando perché avvengano delle pubblicazioni con un lancio in contemporanea sia sul mercato natio che su quello di lingua spagnola. Un’opportunità che permette di gestire al meglio le risorse, e che permette di coordinare fra loro editori internazionali che, con il nostro operato, riescono ora a trovare una nuova via per lavorare fianco a fianco.

Natascia: raccontaci come nasce la tua agenzia. Nasce da un manifesto affisso di fronte alla biblioteca della mia Università, oramai un decennio fa, grazie al quale partecipai ad un corso per redattori in casa editrice. Nasce da uno stage presso un editore che mi ha passato la mia prima ‘bilancia’ per pesare le parole nel nostro mondo, e i limiti di questa stessa bilancia. Continua nella delusione dell’approccio tradizionale delle agenzie letterarie in senso classico, che sono sempre meno allineate con i veri bisogni di chi scrive, pubblica e legge. Cresce dalla svolta che ho impresso al ruolo di agente letterario grazie al concetto di ‘Literary Management’, che vede le opportunità che ruotano attorno alla carriera di un autore come vero centro gravitazionale della gestione di persone che sono prima di tutto uomini, e poi scrittori. Continua con un ampliamento degli orizzonti in tutta Europa, fino all’America, alla Cina, ed ora alla Russia. E più oltre ancora.

Quali consigli daresti agli autori che intendono intraprendere il mestiere di scrittore?
Recentemente ho creato un vero e proprio ‘Decalogo per lo scrittore contemporaneo’, che è nato proprio da un voler rendere omaggio a tutto ciò che in questi anni i miei scrittori mi hanno passato, ed io a loro. Racconto, in questo Decalogo, dell’atto d’amore nascosto dietro ogni scritto, del tempo prezioso che uno scrittore riempie nella giornata del lettore che lo ha scelto; dell’essere i primi a credere fermamente nella propria riuscita; dell’ascoltare con attenzione gli stimoli creativi che continuamente ci vengono incontro per strada, tutti i giorni.

Si narra che gli italiani siano un popolo di poeti, santi e navigatori: tutti -o quasi- si sentono artisti e tentano, talvolta spesso attraverso la scrittura, di raccontare la loro visione del mondo, ma solo pochi poi diventano degli scrittori affermati. Qual è il segreto del successo?
Scegliere i partners vincenti nel proprio percorso editoriale; avere la capacità di lasciare un solco con le proprie parole, che deriva da una perfetta coincidenza fra il proprio pensiero di autore ed il proprio percorso di essere umano; operare con una grande onestà verso se stessi, per non tradire mai il lettore che ci ha concesso la sua fiducia, attraverso la lettura delle nostre pagine. Sopra a tutto: un incessante studio di ciò che siamo e che vogliamo scrivere, con il quale nutrire il vero talento. E questo, se esiste davvero, non mancherà di manifestarsi in tutta la sua forza.

Progetti imminenti?
I seminari di Talent Coaching, che vedranno per la prima volta la luce questo autunno. La punta di diamante di tutti i progetti di Contrappunto mai concepiti finora. Dedicati alla formazione integrata della persona come scrittore e dello scrittore come persona. Se tutto si realizzerà così come l’ho disegnato, avremo unito come non mai le frontiere della comunicazione a quelle della motivazione, al servizio dell’arte e di tutto ciò di cui essa è composta.

giovedì 14 luglio 2011

L’arte di Shikanu’

Antonella Meloni Corsini, in arte Shikanu': te lo avran chiesto in molti ma... non posso esimermi dal non farlo anch'io. Perchè hai scelto questo nome? Non l’ho scelto io a dire il vero, mi ha chiamato così una bambina quando ero piccola mentre mi invitava a fare il ritratto di mio nonno e mi è rimasto come sopranome.

Nella tua arte pittorica il nero spesso è il colore dal quale escono fuori le figure che risplendono così di luce. Un po' come usava fare il Caravaggio. Ti sei un po' ispirata a lui?
Amo Caravaggio ma ho iniziato a dipingere in questo modo molto prima che mi formassi una cultura artistica, diciamo che quando ho scoperto Caravaggio mi sono piacevolmente specchiata in alcuni aspetti. Caravaggio rispetta i colori in rapporto alle condizioni di luce, io non lo faccio quasi mai, se ci fai caso le mie figure hanno luci e colori che dovrebbero essere quelle delle condizioni di luce solare molto intensa che contrappongo al nero per sottolineare che sono figure che emergono dai miei sogni (meglio direi incubi) o comunque dai coni d’ombra dell’uomo.

Come nasce la tua passione?
Avevo quattro anni e sentivo la necessità di esprimermi meglio per immagini pensando di facilitare agli altri la comprensione del mio pensiero.

Qual è uno dei tuoi pittori preferiti?
Mi piacciono tanti, in questo periodo mi incanta Roberto Ferri (contemporaneo): ha delle idee che mi ipnotizzano.

Quando crei, preferisci avere un soggetto da ritrarre o ti affidi alla tua fantasia?
Indubbiamente preferisco affidarmi alla mia fantasia anche se spesso per realizzarla mi servo di modelli che mi aiutano per fermare la prima bozza: fermare per modo di dire, perché cambio idea continuamente mentre realizzo il dipinto.

Qual è la tua fonte di ispirazione?
L’essere umano con la sua angosciante consapevolezza di non essere eterno e il suo essere isola anche in condizioni di estrema promiscuità.

Se dovessi essere un colore, quale sarebbe Shikanu'?
Shikanu’ sarebbe di due colori: Arancione fuori e Blu dentro. Arancione perché amo trasmettere calore e mostrarmi sempre positiva, Blu perché ho un mare profondo e inquieto dentro.

Cosa cerchi di comunicare a coloro che ammirano le tue opere?
Il mare profondo di ognuno di noi illuminato da spiragli di speranza.

Ci sono altre forme artistiche con le quali ti esprimi?
Si, scrivo poesie e testi per canzoni e amo catturare emozioni con la macchina fotografica.

Dove possiamo ammirare le tue opere?
Nel mio sito web, ma ovviamente non è come vederli dal vero. In attesa di una mia prossima mostra chi desidera vedere qualcosa può sempre contattarmi via email e sarò lieta di accoglierlo a casa mia.

Progetti imminenti?
Ho alcune idee in fibrillazione davvero belle dove vorrei coinvolgere anche altri artisti (altri pittori, scultori, musicisti e poeti) perché amo le condivisioni e mai le competizioni, ma prima devo risolvere delle questioni di ordine pratico un po’ noiose che mi stanno togliendo tempo prezioso. Sarò lieta di renderti partecipe dei miei progetti non appena si potranno delineare meglio.

mercoledì 13 luglio 2011

La musica secondo Giacomo Serafini






Nato con la musica nel sangue: chi è Giacomo Serafini?
Giacomo Serafini è un ragazzo che ha fatto una scelta. Ed ha scelto la musica sopra ogni cosa. Le strade della vita a volte ti portano lontano, su sentieri sconnessi e curve pericolose, lontano da quello che sei e spesso, anche in direzioni sbagliate. Io ho avuto la fortuna di avere una bussola per orientarmi bene e capire che, dove stavo andando, non mi piaceva per niente. E sono tornato indietro. Alle mie origini, a quello che amo e che più mi piace fare nella vita; scrivere, suonare, cantare, emozionarmi ed emozionare attraverso la musica. Io sono questo. Ne più ne meno.

Un percorso artistico vario e completo: hai iniziato con le cover band, per poi dedicarti alla tua musica, senza tralasciare i musical (Romeo e Giulietta, Jesus Christ Super Star). Quali emozioni e quali esperienze hai potuto così vivere?
Fa sempre tutto parte del viaggio. Se oggi butto uno sguardo indietro mi sembra di aver vissuto 300 vite. E ognuna ha avuto i suoi momenti positivi e negativi. A volte mi sono trovato a pensare “ma quando finirà tutto questo?!” e poi in un soffio di vento era tutto passato ed eri già da qualche altra parte, felice, contento di aver superato gli ostacoli. E’ successo spesso durante gli anni della “gavetta”, che però, oggi, benedico. Non potrei apprezzare quello che sono oggi senza essere passato prima da quelle strade. L’evoluzione da “replicatore” di musiche altrui a autore delle proprie è una naturale evoluzione. Tutti ci ispiriamo. Io moltissimo. Tant’è che il mio disco al capitolo “ringraziamenti” è pieno di super-nomi che mi hanno accompagnato negli anni. Non ho mai conosciuto nessuno di loro però. Se non Axl Rose nel 2006, al Gods of Metal di Milano.

Con “Jesus Christ Super Star” sei volato anche a New York al Westside Theatre: raccontaci questa esperienza.
New York è una città da sogno. Una di quelle in cui, un giorno, vorrei vivere stabilmente. Insieme a Londra, Parigi, Berlino e Roma fa parte delle mie “seconde case”. Il musical è un’esperienza totalizzante, ti forma sia dal punto di vista vocale che attoriale. Amo recitare in realtà! La recitazione fa parte del mio bagaglio personale di esperienze passate e quindi amo i musical in generale. JCSS è poi a mio avviso il musical rock per eccellenza. La mia esperienza è stata un po’ limitata però. Facevo parte delle riserve e di parte di un coro. Comunque un’esperienza stupenda. Vorrei riprenderla, più in là, magari studiando meglio e con una parte da protagonista.

Anche se girovago, sei molto legato alla tua terra: se dovessi farci da Cicerone, dove ci porteresti e perchè?
Non così legato, mi verrebbe da dire. Considerate anche le mie origini geografiche (solo mio padre di tutta la famiglia è originario di Pescara). Ci sono delle cose di Pescara e dell’Abruzzo che adoro, altre, senza mezzi termini, che detesto dal profondo del cuore. Entrare nei particolari sarebbe troppo lungo e ci vorrebbe un libro! Però posso dirti che gireremmo per almeno una settimana tra posti stupendi sulla costa e paesaggi montani degni di uno scenario alla Signore degli Anelli. Nel 2009 ho conosciuto il location manager proprio di quella trilogia e mi ha confessato che molte di quelle scene sono state girate proprio qui tra Abruzzo e Lazio. Vi porterei anche in un mega tour culinario nei locali tipici di entroterra e costa. Se ami la cucina tradizionale l’Abruzzo è un paradiso in questo senso.

Nel tuo passato, anche due partecipazioni alle selezioni di “Sanremo Giovani”: è ancor una vetrina per i tanti musicisti in Italia? Lo è ancora. Ed è spesso fondamentale. Escludo i reality di cui ho una visione assolutamente negativa. Li considero come il male della musica e il nemico numero 1 della qualità. Se quindi togliamo le vetrine televisive e consideriamo il circuito underground come una giungla intricatissima dalla quale uscire vivi, l’unico modo per arrivare al grande pubblico e farsi apprezzare, in Italia, è rimasto il festival. Ma per arrivarci per forza di cose devi passare attraverso un sentiero tortuoso. Io sto aspettando il giorno in cui al festival si sentirà del buon rock. Sto aspettando il giorno in cui a Sanremo sia rappresentata davvero la musica che si ascolta negli Ipod durante l’anno. Quando ci svecchieremo!? Quando manderemo in pensione personaggi che monopolizzano l’attenzione da mezzo secolo?!

La musica in Italia, secondo te, ha il giusto spazio?
Appunto… riprendo da quanto detto sopra. No, non ha il giusto spazio. Non ce l’ha perché in italia non si fa cultura musicale. Non la si fa dai banchi di scuola. Non la fanno i genitori, ne la fanno tantomeno i media. L’Italia è diventata una discarica della musica dove si importa la spazzatura di mezzo mondo (vedi disco music fatta male e varianti) e dove invece si esportano i talenti veri all’estero. I grandi cantautori, chi ha qualcosa davvero da dire, sono per la nicchia. Ma credo, faccia tutto parte del grande disegno di repressione culturale in atto nel nostro paese da 20 anni a questa parte.

Nel 2009 hai iniziato a metter in cantiere il tuo primo disco da solista “Racconti di Viaggio”: come è nata l'esigenza?
Siamo quasi alla fine (e io alla frutta) dopo 2 anni di lavoro. L’esigenza è nata quando ho avuto prima di tutto qualcosa da dire e da raccontare. Il disco infatti si chiamerà “Racconti di Viaggio”. E “Life’s Journey” nella sua versione inglese poiché sta per essere registrato anche in inglese. E’ nato dall’esigenza di sintetizzare 20 anni di esperienza canora, musicale, autorale in un prodotto che mi rappresentasse al meglio. E soprattutto dare un senso pratico alla mia vita. Dopo essermi “perso” spesso e volentieri. Ad oggi sono molto contento del lavoro fatto. Al disco hanno lavorato personaggi importantissimi. Che anni fa non avrei mai immaginato. Su tutti Alessio Ventura (cantante e produttore di Dhamm, DB Boulevard e Sautiva) che tra l’altro sta per tornare sulla scena con il suo primo disco solista dal titolo “Lingue Diverse”, e Steve Lyon (Depeche Mode, The Cure, Subsonica, Laura Pausini).

In queste ultime foto e video, ti vediamo in una versione inedita, dallo stile un po' dark: come mai questa svolta? Anche la tua musica, oltre la tua immagine, sarà “stravolta”? E’ una scelta un po’ particolare, rappresenta da dove vengo. Io sono cresciuto con l’hard rock e il rock. Sono un mix tra la scena culturale statunitense; quella dei Guns n Roses, Aerosmith, Skid Row, Bon jovi solo per citarni alcuni e traggo ispirazione creativa alla scena britannica quando scrivo; The Cure, Depeche Mode, Oasis, Keane, Starsailor, Damien Rice. In più ultimamente ho avuto una autentica folgorazione per la nuova matrice di quello che chiamano post-grunge, per quanto assurdo sia classificare un genere musicale a mio avviso, e sono in fissa con band tipo i 30 Seconds to Mars piuttosto che My Chemical Romance. Tornando alla scelta del look, rappresenta, scenicamente, quello che per anni sono stato. Un vampiro, un cacciatore notturno alla ricerca dell’antidoto che lo guarisse la sua dannazione di non poter affiorare alla luce. La ricerca stilistica fa parte del mio percorso umano e artistico. La presenza inequivocabile di un’anima dark, cupa che per assurdo fa da contrappasso a quella che penso sia invece la mia solarità caratteriale. Sul disco (e nel video) traspare tutto. Ci sono pezzi assolutamente solari ed altri invece scuri. Non voglio svelarvi la sceneggiatura del video ma potrei darvi fondamentalmente 3 indizi; Into the Wild + The Kill + Intevista col Vampiro in un giusto mix di ispirazioni e originalità.

Progetti imminenti?
Chiudere il disco in inglese, mixarlo, editare il video e partire in tour promozionale. Il prima possibile. Già adesso che ti scrivo , sento la spinta fortissima ad uscire (io non riesco mai a stare a casa, è più forte di me). Credo ci vorranno ancora 2/3 mesi, mi auguro di chiudere il tutto per settembre. E se così sarà, saranno passati esattamente 2 anni e mezzo da quando abbiamo iniziato a pensarlo. Capito che voglia immensa di prendere un bus e partire!?!? Ah dimenticavo… avrei voglia di innamorarmi, nuovamente. Ma sembra che, sia già su una buona strada con il vento alle spalle!

martedì 12 luglio 2011

Le promesse degli Eva Mon Amour

 


“La malattia dei numeri” è il vostro nuovo EP: quali sono le storie e le “malattie” che raccontano gli Eva Mon Amour in questo disco? Sono storie di statistiche, di audience, di fretta, di risultati e sono soprattutto storie di obiettivi dimenticati.

“Prometto” è il singolo e video che avete lanciato per presentare il vostro nuovo lavoro. Un testo che elenca una serie di promesse per la persona cara, per poi capovolgere le promesse all'altro. Quali sono le promesse che spesso non si riescono a mantenere?
Quelle che si fanno a se stessi molto probabilmente sono le più difficili da mantenere.

Il video di “Prometto” è molto semplice ed intuitivo: due ragazze che si prendono cura dell'altra, anche in una situazione non proprio agevole. Perchè questa scelta? Il bambino finale, che significato ha nel video?
Volevamo rappresentare la difficoltà di portare avanti le cose a cui teniamo nel mondo di oggi. Il bambino col panino sta appunto a simboleggiare lo sguardo di una società frenetica e spesso consumista che più che arrivare a farsi delle promesse non arriva a porsi nemmeno delle domande.

L'amore è universale per gli Eva Mon Amour?
L’amour è roba complicata. Più se ne parla, più ci si confonde.

Come è stato presentare il disco al “Circolo degli Artisti” di Roma? Qual è il rapporto che vi lega con i vostri fans?
La serata del circolo è stata una gran bella serata per merito di tutti, per merito delle malattie dei numeri, del circolo stesso che ci regala sempre se non il meglio, sicuramente qualcosa di molto simile, per merito di chi stava sotto al palco, che avremmo fatto salire volentieri durante il concerto per mettergli addosso un po’ di sano sudore di giugno.

Molto ha fatto la rete e il più antico dei social network -MySpace- per gli Eva Mon Amour e per tutti i giovani artisti che per la prima volta hanno avuto modo di potersi far conoscere, senza necessariamente passare per le case discografiche. Come quindi ad oggi si è evoluto il concetto di musica e di artista?
Il MySpace ha decisamente alimentato un qualcosa di rivoluzionario in merito alla diffusione e condivisione di una musica talmente home-made e alternativa che non avrebbe mai potuto essere ascoltata attraverso gli ormai logori canali delle Major. L’espressione che ne è scaturita ha riportato all’attenzione soprattutto l’anima e i contenuti. Quindi un freno alla plastica propinata dal mainstream e molte più persone ai concerti, e dal vivo è impossibile fingere.

Progetti imminenti?
Innanzitutto saremo ospiti in molti Festival estivi e sicuramente il confronto con altri artisti ci divertirà molto. In più c’è da dire che la lavorazione del nostro ultimo EP c’ha lasciato addosso davvero belle sensazioni, di conseguenza già qualche idea per il prossimo disco… chissà.

venerdì 8 luglio 2011

Rockin Rolling con gli AltaPressione

Incontriamo Andrea Pelatti, voce e leader degli Altapressione.


 
“Rockin Rolling” è il singolo con il quale siete in rotazione in questi giorni. Come mai avete scelto di uscire con una cover? Come mai la scelta è ricaduta su questa canzone di Scialpi, lanciatissima nel Festivalbar 1983? La scelta del brano Rocking Rolling, come brano da riproporre, è iniziata una sera mentre lavoravamo negli studi della Golden Factory Records, alla pre-produzione del disco, casualmente notammo su youtube un vecchissimo video di Scialpi, che era appunto Rocking Rolling. Folgorati dalla potenza e dall' attualità del testo, provammo immediatamente a risuonarla, venne da subito con un gran "tiro" e un gran suono che decidemmo di lavorarci per una possibile cover da inserire nel disco. Il taglio rock e moderno che abbiamo deciso di dare al pezzo si allinea alle scelte radiofoniche degli ultimi anni e speriamo possa suscitare l’interesse e la curiosità delle emittenti che sono molto attente alle novità e al panorama musicale emergente.

Come è stato collaborare con Roberto Terzani?
Tutt'ora collaboriamo con "Robbi" e dopo quasi 1 anno di lavoro sul disco siamo ancora tutti molto entusiasti che siamo rimasto l'energia e la voglia dei primi mesi. Robbi è una persona con un bagaglio musicale e culturale incredibile, ha dato tanto nei Litfiba sotto il punto di vista emotivo cosa che sta dando ancora di più a noi. Come dice Lui: "Io sono come un allenatore di una squadra di calcio, devo tirare fuori il meglio dalla formazione che ho. Sta facendo proprio questo ed i risultati si toccano con mano ogni giorno che passa. Il nostro sound è migliorato e la nostra coesione come band è indubbiamente consolidata come una band di veri professionisti.

Il 10 Luglio aprirete il concerto di Lou Reed al “Pistoia Blues Festival”: come vi sentite a suonare di fronte ad una grande star che ha lasciato il segno nella storia della musica?
Per noi è un grande onore calcare il palco del Pistoia Blues solo un'ora prima di Lou Reed, sappiamo di poter far bene e ce la metteremo tutta per fare uno show all'altezza della situazione, saranno 20 minuti dove daremo il massimo e dove presenteremo per la prima volta dal vivo il nostro singolo Rocking Rolling.

Facciamo un passo indietro, tornando agli esordi degli AltaPressione: tanti live, festival, collaborazioni. Quando avete finalmente capito che la strada intrapresa era quella giusta?
Fin dal primo momento ci siamo resi conto che il progetto poteva funzionare, perché solo nel primo anno di vita della band abbiamo suonato in Germania al Taubertal Open Air Festival come supporter ai Darkness e due date dell' iTim Tour, a Roma e a Milano. Poi dopo queste due importanti manifestazioni ne sono venute altrettante, come il Roxy Bar, Live Forum di Assago, Music Italy Show, Motor Show di Bologna….e tantissime altre, riscuotendo sempre un attenzione particolare e positiva da parte del pubblico.

La cosidetta “gavetta” -sia nella musica che nella vita- è ancor oggi premiata?
Sicuramente di gavetta oggi se ne fa meno rispetto a 15 anni fa, sia perché non ci sono più strutture dove poter cominciare a suonare dal vivo davanti ad un pubblico, sia perché oggi esistono realtà che danno visibilità e popolarità immediata, senza far durare "fatica" all'artista per crearsi un background musicale, che servirà nel momento di massima difficoltà artistica….e di difficoltà per cantanti solisti e/o band come noi ce ne sono molte ma siamo convinti che tutti i nostri sforzi e il nostro saper tener duro sempre, un giorno sarò ripagato.

Il Dj Mario Miclini si è divertito a mixare una vostra canzone: ”Velina di plastica”. Come nasce la collaborazione? Ve lo aspettavate?
Suonavamo a Lazise sul Lago di Garda in Dogana Veneta, lui suonava dopo di noi e prima di cominciare la serata ci disse che gli era rimasto in testa una nostra canzone, da lì ci siamo tenuti in contatto e gli abbiamo inviato un nostro cd dove c'era il brano "Velina di Plastica". Non ci aspettavamo che un Deejay del calibro di Mauro Miclini potesse mai remixare un nostro brano ma così è stato, poco tempo dopo il brano era finito e in rotazione su Radio Deejay.

Progetti imminenti? Dopo il concerto come Band Supporter a Lou Reed al Pistoia Blues saremo ospiti al Summer Festival di Lucca il giorno 20 Luglio, subito dopo ci aspetta l'ultimo sforzo in Studio di Registrazione per finire il nostro primo Cd con uscita prevista in autunno.

mercoledì 6 luglio 2011

L’HipHopCrisia dei Pessimi Fattori

 

Incontriamo i Pessimi Fattori, giovanissimi rapper romani. Due chiacchere con Sifer.


Giovanissimi i Pessimi Fattori -tutti tra i 17 e i 19 anni- come hanno intrapreso la strada verso la musica?
Ciao e un “bella!” a tutti i Pessimi! Ognuno di noi seguiva il rap da tempo, ma i primi due ad iniziare a ‘rappare’ siamo stati Saker ed io, circa 2-3 anni fa. Yuge e Fes hanno iniziato qualche anno dopo, più o meno in contemporanea con la nascita dei Pessimi fattori.

Il talento è una dote essenziale dell'essere artista: come si è manifestato in ognuno di voi?
Sinceramente non so se sia essenziale per un artista, nel senso che un po’ in Italia va avanti chi è raccomandato! Fortunatamente nel rap sembra non sia proprio così. Non so come si sia manifestato il nostro talento, so solo che quando ci troviamo tutti insieme, riusciamo in questo modo a tirare fuori tutto quello che abbiamo dentro con un’energia incredibile.

Perchè “Pessimi Fattori”? Quali sono i fattori che rendono il gruppo unico ed inconfondibile?
Già 4-5 anni fa usavamo “PFC” come sigla della nostra crew di graffiti (di cui sono stati fondatori Sifer e Juice), poi nel 2010 abbiamo voluto riprendere le iniziali della crew, visto che a tutti noi aveva dato molto, trasformandole nel nome del gruppo: PESSIMI FATTORI. Siamo quattro persone molto diverse, però tutti siamo determinati a fare sempre meglio. Riusciamo a confrontarci, capirci e amalgamarci anche perché siamo praticamente cresciuti tutti insieme, nella musica ma anche nella vita quotidiana.

"HipHopCrisia” è l'album d'esordio -in uscita il 24 giugno- della Crew PFC (ndr Pessimi Fattori). Quali sono i temi dell'album? Perchè i coetanei dovrebbero ascoltare la vostra musica? I temi del disco sono molto diretti, parla dell’ipocrisia che ci circonda e tutte quelle difficoltà con cui noi giovani ci dobbiamo confrontare ogni giorno. I testi sono stati scritti in modo che tutti possano “entrare” nel pezzo e capirlo, in questo modo le persone lo “ascoltano” e non lo “sentono”. Perché dovrebbero ascoltare la nostra musica? hmm perché siamo belli! ehehe.. scherzi a parte.. Dire “ragazzi dovete ascoltare i Pessimi Fattori” mi pare eccessivo, però vi consiglio di almeno di dargli una possibilità, di ascoltare i Pessimi Fattori perché provano a fare buona musica che dica anche qualcosa (anche se questo non dovremmo dirlo noi)

L'hip-hop in Italia: il pubblico è maturo per ascoltarvi e comprendervi e a far soccombere i mostri sacri della musica italiana?
L'HIPHOP in Italia rispetto agli anni passati sta prendendo ''FORMA''.. lo si sente ovunque, dalla pubblicità alle trasmissioni, dal bar alle scuole.. e questo a tutti noi può solo far piacere. Il pubblico può comprendere i nostri testi perché sono semplici e diretti, e forse è anche per questo che abbiamo un pubblico che va dai 13 ai 40 anni. Noi siamo giovanissimi ed abbiamo grande rispetto per i “mostri sacri” italiani. E ci piacciono le collaborazioni.

Progetti imminenti?
In questo periodo siamo in Promozione per l'uscita di HIPHOPCRISIA. E’ appena uscito il nostro videoclip “Salvataggio d’emergenza”, dopo il primo singolo “Uno di Noi”. E siamo in giro per l’Italia per interviste in radio e tv, e speriamo presto di riprendere anche la nostra attività live. E’ sul palco che riusciamo a dare il meglio di noi! Ci teniamo a ringraziare la nostra etichetta Lakerecords con i nostri produttori Andrea Trinchi e Fabrizio Scarafoni e il nostro ufficio stampa Ultra. Per qualsiasi aggiornamento sulle nostre date e tutto il resto potete visitare la nostra pagina Facebook: Pessimi Fattori Official.

lunedì 4 luglio 2011

Inverno musicale con Malena

Una giovane promessa della lirica pop italiana.  



 

Francesca Vassallo, in arte Malena, è la nuova promessa della musica pop lirica italiana. Chi è Francesca e chi è Malena? Francesca è la donna, che oggi, ha conquistato parte del proprio cammino in una realtà metropolitana come quella milanese. Nel 2002 a Milano, superate le selezioni per accedere al conservatorio Giuseppe Verdi, inizia il suo percorso di studio tra momenti felici ed altri più difficili ma conquistando, ogni giorno, traguardi importanti per la propria formazione artistica e personale. Poi nel 2009 consegue il diploma in canto lirico sotto la guida della maestra Silvana Manga. Da qui continua la sua formazione in ambito professionale esibendosi con grande gioia, fin quando decide di sperimentare qualcosa di diverso, qualcosa che possa avvicinare la sua esperienza ad un ambito più frequentato ma allo stesso tempo approdando ad un lavoro particolare, che abbia un determinato spessore. Malena, la Musa, un’ idea di donna, che comincia ora a definirsi e sintetizzarsi con quello che è il mio alterego, la mia evasione dalla quotidianità, il mio modo di essere artista e dare sfogo a quello che più maggiormente sento e che nella vita non è sempre facile esprimere. La quotidianità, impone target e regole a cui alcune volte sono allergica. L’arte è libertà, è soggetta a critica ma è pur sempre libera di essere in quanto arte e in quanto immediata e diretta. L’arte non è figlia della mente, ma del sentire e del vivere. Nella scelta del nome mi sono ispirata alla sensualità in quanto donna, che ricerca una femminilità eterea ma allo stesso tempo selvaggia. Un’ idea che concili in sé i sentimenti più reconditi, la disinibizione, ma anche il sentimento unico che si riflette nel modo di rispondere alla vita in tutte le sue sfaccettature più articolate.

Come nasce il tuo amore per la musica lirica?
L ’amore per la musica e per l’arte in tutte le sue forme è qualcosa che nasce fin da bambini. Da sempre ho mostrato questa naturale propensione per il canto. Fin dalle scuole elementari ho cantato nei cori e come solista nelle recite scolastiche, il protagonismo non mi ha mai spaventato. Poi, crescendo, ho notato questa particolare predisposizione per il canto lirico, in quanto la mia voce era già naturalmente impostata in “maschera” . Poi gli studi classici mi hanno avvicinato alla cultura greca, al teatro, alla tragedia e alle origini dell’opera. Un mondo in cui è possibile rivivere, in veste di attori, sentimenti e situazioni che non tramontano mai, un mondo dove ancora gli ideali hanno una determinata rilevanza. E poi il palco una realtà parallela a quella che viviamo e i sentimenti esasperati, osannati e poi protetti da virtuosismi vocali e giochi di colori che solo uno strumento vocale, come il nostro, riesce miracolosamente a fare.

Numerose sono le manifestazioni dove hai potuto mostrare il tuo talento, tra queste il Giubileo del 2000 a Roma e la sede dell'Onu a New York. Come ti sei sentita a portare la grande tradizione lirica della musica italiana in queste speciali occasioni?
Esperienze uniche, che hanno arricchito la mia adolescenza e stimolato la voglia di andare avanti in questo percorso di vita, in questo sogno unico nel mondo musicale.

Il bel cantato lirico è da sempre nella tradizione della cultura italiana, che ci ha permesso sin dalla sua nascita, di portare il Made In Italy all'estero. Come questa tradizione continua ad esserne portavoce?
Caso vuole che il bel canto sia molto più praticato all’estero. Tantissimi sono i giovani che da paesi come la Corea del sud, Giappone, Russia, Germania ect. vengono in Italia per perfezionarsi, per periodi di tempo anche brevi. L’opera è conosciuta, amata, apprezzata e molto richiesta all’ estero. In Italia, invece, sta diventando sempre più musica d’elitè. Si è cercato di allargare i confini di destinazione ma, in ogni caso, resta sempre abbastanza difficile la sua fruizione.

“Inverno” è il singolo che precede l'uscita del tuo album in autunno. Come nasce il brano? Puoi darci qualche anticipazione del disco?
"INVERNO" è una colonna sonora scritta e arrangiata dal mio produttore artistico, Paolo Agosta, che rievoca le sonorità presenti in alcune musiche utilizzate da David Linch per i suoi film. Scritta nel 2000, per un cortometraggio girato dal fratello regista Davide Enrico Agosta è stata arricchita e portata a compimento nell'arrangiamento per l'introduzione del mio albumì. Il mood dell'opera è scuro e drammatico, e nasce da una melodia di pianoforte che si sviluppa in un arrangiamento di archi, percussioni, batteria, basso e chitarre elettriche, in un crescendo lento, continuo e costante. Di questo brano ne esiste una seconda versione che comprende al suo interno la lettura di una poesia intitolata come il brano stesso, scritta da mia zia, la poetessa Cettina Vassallo e interpretata da Damiano Fiorella (ex concorrente di X-Factor edizione 2009 e voce dei "Monopolio di stato"). L'album che ne seguirà, è un lavoro ricco di sfumature e dal forte coinvolgimento emotivo che passa attraverso i mondi della musica lirica, della musica pop e della musica trip - pop degli anni '90.

Progetti imminenti?
In attesa dell’uscita di un lavoro così particolare, posso solo continuare a mettermi in gioco, come fin ora ho fatto, augurandomi che la mia voce e le musiche di chi mi affianca in questo particolare percorso, possano arrivare a commuovere, allietare, sentire e incuriosire chi vorrà ascoltare e avvicinarsi alle mie corde, al mio modo di sentire e al mio modo di far musica.

martedì 28 giugno 2011

Il giardino delle rose di Chiara Ragnini




 


“Gli scoiattoli nel bosco” è il tuo primo video ufficiale, tratto dall'album “Il giardino di rose”. Una canzone delicata, di un amore sussurrato, quasi ad averne timore. “L'amore è uno scoiattolo che ti guarda con la faccia divertita?” L’amore è fatto di mille sfaccettature, di alti e bassi, come in ogni rapporto umano che si abbia a cuore. Con questa canzone ho voluto raccontare, con ironia, la parte un po’ più “bassa” di un rapporto di coppia, quella dove ad un certo punto si “scoppia” e si decide di dirselo apertamente, senza mezzi termini. Credo che la sincerità sia fondamentale nell’amore, come nell’amicizia, e che non si debba aver paura di mettersi contro la persona amata, sia per le piccole cose che per quelle davvero importanti. Il tutto condito da una buona dose di ironia e autoironia, che non guastano mai.

Ne “Il giardino di rose” quale “profumo” musicale prevalerà? Anticipazioni sul nuovo disco?
Il Giardino di Rose è per me un disco di svolta: ho abbandonato l’inglese per fare spazio al cantato in italiano, dove ho scoperto di ritrovarmi con maggiore naturalezza e stimolo. E’ un disco che profumerà di mare, di terra, di gioia ma anche di malinconia, con velati omaggi alla mia città (da buona genovese!), alla quale ho regalato un paio di canzoni che affrontano il tema del ritorno. Il disco sarà disponibile a fine estate su tutte le piattaforme digitali e, naturalmente, ai miei concerti.

Cantautrice e vincitrice de il “Premio Miglior Autore” ai “Sanremo Music Award” del 2011, dove Chiara trova la sua fonte di ispirazione?
Nei litigi col mio fidanzato! A parte gli scherzi, le mie fonti di ispirazione sono davvero molteplici, anche se nell’ultimo anno la lontananza dalla mia città natale (Genova) e la gioia della convivenza immersi nella bellezza del ponente ligure, terra di mare e di ulivi, sono state indubbiamente le fonti di stimolo principali. Trovo inoltre molto stimolante dal punto di vista della creatività la condivisione di quest’ultima con altri compositori e autori: l’inverno scorso ho avuto la possibilità, splendida, di partecipare a Radar, una settimana di perfezionamento musicale curata dai giornalisti musicali Massimo Cotto e Franco Zanetti, dove, insieme ad una ventina di altri musicisti, ci si è confrontati e si è dato vita a momenti di creatività condivisa, che sono stati davvero stimolanti e mi hanno spronato a curare maggiormente testi e musiche.

Finalista del premio “Janis Joplin” nel 2010, quali sono le donne che hanno influenzato Chiara? Tre su tutte: mia mamma, mia nonna e mia zia. La prima per la capacità empatica che ha saputo insegnarmi, la seconda per la forza e la terza per la tenacia. Mi hanno insegnato, insomma, a non arrendermi mai e a migliorarmi continuamente per realizzare i miei sogni.

La musica d'autore in Italia ha sempre avuto una grande influenza sul pubblico e viceversa, molto spesso gli autori hanno “fotografato” la loro realtà, raccontandola al pubblico. Quali sono le vicende che Chiara raccoglie per raccontarle ai suoi fans?
Amo osservare le persone e provare a immedesimarmi in loro. Sono una persona molto emotiva ed empatica e questo mi aiuta per provare a raccontare delle storie, che spesso mi riflettono, nel modo più immediato e comprensibile possibile. Sto lavorando tanto per migliorarmi in questi termini e cerco sempre di fare tesoro di tutte le mie esperienze per poterle condividere con il pubblico attraverso le mie canzoni.

Progetti imminenti?
Primo fra tutti l’uscita del Giardino di Rose, che sto curando personalmente sotto la supervisione dei miei musicisti, Claudio Cinquegrana e Max Matis. L’estate sarà inoltre ricca di concerti e appuntamenti, fra cui posso ricordare quelli più imminenti: a fine mese saremo ad Asti per il Premio Fabrizio De Andrè –Parlare Musica e a Borghetto Santo Spirito (SV) per il Premio Donida. Partirà quindi la promozione del disco e spero davvero che questo lavoro possa essere un ottimo punto di partenza per poter fare della musica una parte fondamentale e inevitabile della mia vita.

lunedì 27 giugno 2011

Mi fanno male i capelli: parola dei Deserto Rosso

Incontriamo una promettente band, capitanata da Erika Savastani. Conosciamo più da vicino i Deserto Rosso.  

Cantautrice romana, fonda assieme a Danilo Pao, i Deserto Rosso. I tuoi capelli rosso fiammante hanno in qualche modo influenzato la scelta del nome? Erika: “Quando abbiamo deciso di chiamarci DESERTO ROSSO, il riferimento al colore dei miei capelli era ovvio, anche perché tutti i miei amici mi chiamano da sempre “la roscia”. Anche nel titolo dell’abum c’è il riferimento ai capelli, nella cultura femminile e nella rappresentazione della donna in generale nei secoli, i capelli sono un elemento fondamentale. Mi viene in mente la Venere del Botticelli ricoperta da lunghi capelli ondulati, o a Baudelaire che nell’ “Emisfero dei tuoi capelli” svela: “Nell’oceano dei tuoi capelli vedo un porto brulicante di canzoni…”. Per non parlare poi della caccia alle streghe, dove tutte le donne dai capelli rossi rischiavano l’accusa di stregoneria e quindi la morte! “.

Ad ogni modo “Mi fanno male i capelli”, il vostro album d'esordio, è un universo di suoni e storie dedicato al mondo femminile. Qual è il ritratto che ne scaturisce?
Erika: “Spero ne scaturisca il ritratto di una donna che decide di vivere la vita come vuole viverla lei. Una donna che non ha paura di seguire i propri sogni e il suo innato istinto. Una donna che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Una donna che non ha paura di mettere l’amore al centro della sua vita, trasformandolo in energia vitale da mettere in tutte le cose che fa”.

I Deserto Rosso accompagnano in un tour estivo gli Zero Assoluto. Come nasce questa collaborazione? Qual è il ricordo di questa esperienza?
Danilo: “Nasce dal primo disco degli Zero Assoluto, che ho prodotto insieme ad Enrico Sognato. Erika cantava una canzone (Quattro cose) ed è andata avanti negli anni con dischi e tournée, ormai siamo una famiglia! Di ricordi ce ne sono un infinità!”

Molteplici le collaborazioni di Erika con gli artisti della scena romana. Vuoi citarcene qualcuno?
Erika: “Riccardo Sinigallia, Alex Britti e Ice One sono coloro che ho più nel cuore”.

Qual è la situazione artistica di Roma? E' una città viva e creativa, con spazi per “musicare”?
Danilo: “Ci sono molti gruppi e solisti di talento a Roma, e ci sono alcune realtà di spazi musicali che sono riuscite ad andare avanti negli anni (Circolo degli Artisti, Angelo Mai, Brancaleone), ma è diminuito notevolmente il supporto delle case discografiche, che prima avevano un ruolo importante a Roma. Ora si va di autoproduzione con tutte le difficoltà del caso”.

Le donne e la musica. Quali sono i pensieri delle donne di oggi? Come la figura femminile si è evoluta negli anni, musicalmente parlando? C'è spazio per le donne?
Erika: “Penso che nella musica è fondamentale essere considerate delle professioniste tanto quanto gli uomini. Per quanto riguarda l’evoluzione della figura femminile nella musica, purtroppo io parlerei di involuzione! Infatti per quanto io possa ammirare Lady Gaga, penso che Janis Joplin sia sempre la migliore! Lo spazio per le donne sembra ci sia no? Dai reality ai festival rock, la presenza femminile si fa sentire! “

Come nasce il sodalizio con Danilo? Erika: “La conoscenza con Danilo risale a qualche anno fa. Danilo era il chitarrista del vecchio gruppo (Cinaski) del bassista della mia band (Isterika). Dopo Danilo è diventato -insieme ad Enrico Sognato- il produttore del mio primo E.P. da solista “Sexy Shop”. Da quel momento in poi non ci siamo più divisi musicalmente, fino a decidere di formare una nuova band!”.

Progetti imminenti? Erika: “Attualmente siamo in tour con gli Zero Assoluto fino a settembre. Stiamo promuovendo “Dèja vu”, il primo brano estratto da “Mi fanno male i capelli” -nelle radio locali Italiane- e preparando un video per questa canzone! Nel frattempo continuo a curare il videoblog del tour, ormai on-line dal 2007, desertorosso.it!

domenica 26 giugno 2011

Fino alla fine con i Fine99



Incontriamo i Fine99: alla scoperta dell'hardcore Made In Italy. 
“Fino alla fine” è il titolo del vostro ultimo lavoro discografico. Qual è la fine che non ci si aspetta dai Fine99? Il darsi al liscio... anche se... - se la ridono i Fine99.

Dal punk rock a sonorità metal, hardcore ed elettroniche. Come i Fine99 mutano il loro sound, trascinando con sé anche i loro fans?
Sì il sound muta: tanti i fans che ci hanno seguito, qualcuno per strada è stato perso, ma tanti altri si sono aggiunti; è giusto così.

I Fine99 scelgono di comporre le loro canzoni in italiano, per un genere non del tutto “Made in Italy”. Come mai?
Abbiamo la consapevolezza che un cantato in inglese aumenterebbe le “possibilità di mercato” e potrebbe essere anche più musicale; ma non ci interessa. Siamo italiani, ci piace cantare in italiano, con le difficoltà del caso, ma pensiamo che in questo modo arrivino prima i nostri testi.

Perchè secondo voi si dice che in Italia non si ascolta musica “Hard”? Si dice che si ascolti poco musica Hard; penso sia dovuto principalmente al mercato mainstream che, a differenza di altri paesi, è poco orientato su questo genere. Fuori dal mercato dei grandi numeri c'è molta gente che apprezza questi generi più duri.

Quali sono le vostre fonti di ispirazione primarie?
L'imprinting dei gruppi che ascoltiamo c'è e si vede. I gruppi principali possono essere Story of the year, Bring me the Horizon, Seed 'n' Feed, senza tralasciare tutto il background grunge e punk con il quale siamo cresciuti. La nostra fortuna è che siamo sei elementi e tutti con svariati gusti musicali: poi prendi il tutto, gettalo in uno shaker ed ecco che otterai il cocktail Fine99.

Calcare i palchi con i migliori della scena hardcore è un onore che spetta a pochi. Come si son trovati i Fine99? Dove un giorno vorrebbero ritrovarsi a suonare?
Come musicisti il nostro habitat naturale è su di un palco: è lì che ci sentiamo veramente appagati e dove le ore passate in sala prove trovano coronazione. Sia che si tratti di palchi “grandi e importanti” sia che si parli del palchetto formato da 4 assi di una qualsiasi festa della birra. Non è tanto il dove ci piacerebbe ritrovarci, a noi interessa suonare, non importa il dove!

Il video girato con Ludovico Galletti è ispirato a “Walking Death” e “28 Settimane Dopo”. Come vi siete calati nel ruolo un po' macabro del video?
È stata un'esperienza veramente bella ma al contempo massacrante, molte scene sono state girate durante giorni di pioggia in cui faceva molto freddo, dove l'abbigliamento magliettina e jeans non era esattamente l'ideale. Anzi ci teniamo a ringraziare ancora tutte le persone che si sono offerte per fare le comparse durante le riprese!

Progetti imminenti?
In attesa del tour invernale ci stiamo concentrando sulla stesura di nuovi brani.
Ascolta i Fine99

mercoledì 22 giugno 2011

Daniele Petrucci: il nuovo volto della boxe italiana

Daniele Petrucci è una delle promesse della boxe italiana. Dopo svariati match vinti, Daniele sfida Leonard Buntu, il 25 Giugno al Foro Italico di Roma, per il titolo Europeo dei pesi Welter. Info: www.petruccivsbundu.com

Dalla periferia ai grandi ring internazionali: un esempio per tutti i ragazzi a lottare per i propri sogni, per le proprie passioni. Le stesse che possono portarli lontano. Proprio come è accaduto a te. Quanto la boxe, con la sua ferrea disciplina ti ha permesso di realizzarti? “Beh, molto: da quando ho messo piede in palestra, ho imparato tante cose. Dalla disciplina al rispetto. Il rispetto è molto importante in questo sport, che prevale anche al di fuori del ring. Il rispetto è tutto. Questo sport è particolare: lo devi amare con tutto te stesso. Non è come fare il calciatore, dove girano milioni di euro. Non sono i soldi che spingono i ragazzi a salire sul ring: quando sei su, sai che puoi contare solo sulle tue forze, sulla tua energia e passione.” Beh, se prendi un pugno in pieno viso lo senti, nel calcio non c'è così tanto contatto fisico. “Si certo, anche se a lungo andare ci si abitua. I pugni li senti, ma sono ormai vent'anni che pratico”.

C'è stato un momento in cui hai pensato per un istante di mollare tutto e cosa invece ti ha permesso di continuare?
“E' una domanda che dovresti fare al mio maestro -Carlo Maggi- ma tanto ti darà la mia stessa risposta. Ero agli inizi e dopo quattro-cinque incontri persi di seguito, avevo perso fiducia, pensavo non fosse uno sport adatto a me. Non volevo più proseguire. Poi Carlo è venuto a cercarmi e mi ha detto che se fossi salito sul ring per vincere, sarei andato avanti, altrimenti avrei anche potuto non andare più alla sua palestra. Mi ha “costretto” a ricredermi, mi ha trascinato in palestra, perchè credeva nelle mie potenzialità e talento.” Segue Carlo Maggi: “Daniele aveva iniziato all'età di 11 anni circa. Era un giocherellone, non pensava seriamente al pugilato. Della serie è bravo, ma non si applica. Non gli interessava vincere, anche se aveva tutte le potenzialità per farlo. Quando ci furono i campionati, perse diversi combattimenti, tutti consecutivi e si sfiduciò. Per un mese non venne in palestra ad allenarsi, così andai a recuperarlo a casa. Gli dissi che se fosse salito sul ring per vincere, non avrebbe più perso un incontro. E così è stato. Ha iniziato poi a fare svariati tornei e non ha perso più.”

Quali sono i consigli che daresti ai giovani che magari vivono situazioni di disagio, come può accadere nelle periferie delle grandi metropoli?
“Frequentare una palestra, dei centri culturali: basta stare un po' fuori dai guai, dalla droga.” In alcuni quartieri è un po' difficile, non ci sono molte alternative, ma -prosegue Daniele- “basta metterci buona volontà. So cosa significa vivere nelle periferie, sono molto affezionato al mio quartiere: ci sono cresciuto, ho molti amici, mi ci trovo bene. Sono comunque riuscito a tenermi fuori dai guai grazie alla mia passione per la boxe, la stessa che poi mi ha permesso di intraprendere questa carriera. Sono certo che ogni ragazzo può trovare la sua “via d'uscita” e coltivare il suo mondo, al di là del posto dove vive.”

Il grande pugilato di ritorno a Roma, vede di nuovo illuminarsi attraverso i tuoi match: che emozioni provi quando sali sul ring nella Capitale?
“Qui a Roma è iniziata la mia carriera professionistica: oltre ad una grande emozione, sento una grandissima responsabilità. Sento gli occhi di tutti puntati addosso. Quando sai che sei sul ring, nella tua città, sai che non puoi permetterti di sbagliare, che sei tu a rappresentare la tua città e tutti coloro che vengono a vederti e tifano per te. In questo sport poi, se sbagli una volta...” - ti segna? - “Si: un giorno sei in alto, ma se sbagli... beh, ben presto si dimenticheranno di te”.

A volte capita che nello sport, come nella vita, qualcuno si perda e si lasci abbindolare con dannose “ricette magiche” per combattere stanchezza e depressione. Quanto invece lo sport pulito e salutare aiuta a migliorare il corpo e la mente?
“Fortunatamente non mi sono mai servite e le sconsiglio vivamente. In alcuni sport, spesso capita che alcuni per combattere la stanchezza e migliorare le proprie prestazioni, assumano sostante illecite. Ma ciò non fa bene allo sport, ma soprattutto alla loro salute. Tanti si sono poi ammalati e peggio ancora, sono morti. E' inutile doparsi: tanto poi lo vengono a sapere e ti tolgono anche il gusto della vittoria. Una vittoria senza sudore, non ha senso. La vittoria è frutto di allenamento, sacrifici e sudore. Solo questo rende campioni.”

Quanto ti alleni per raggiungere i tuoi obiettivi?
“Due volte al giorno: mattina e sera. Poi dipende sempre dal programma stabilito dal maestro”.

Quando poi si avvicina un match importante, come quello del 25 Giugno, l'allenamento si intensifica.
Interviene Carlo Maggi: "Io lo vedo vincitore. In questo periodo si è allenato moltissimo. So quanti sacrifici ha fatto Daniele per la preparazione di questo incontro. Bundu è molto bravo, ma Daniele è un passo in avanti. Daniele poi, quando incontra i grandi campioni -come Cruz, Miranda- esce fuori il vero spirito di Daniele."

Qual è la cosa che più ti lega a Roma, la città dove sei nato?
“Un po' tutto. Roma è Roma.”

Tra i grandi pugili del passato, con chi vorresti boxare o non vorresti boxare?
“Un pugile del passato che mi è sempre piaciuto è Jesús Chávez, il messicano. Se fossi vissuto ai suoi anni d'oro, mi sarebbe piaciuto battermi con lui.”

Mentre con chi non vorresti boxare?
“Beh, a volte sei “costretto” a combattere, anche con chi non vorresti”. Spiegami, come funziona il meccanismo? “E' molto facile: se vinci un titolo, puoi fare una difesa volontaria e lo sfidante lo sceglie la sigla del titolo che hai vinto.

Dove vuole arrivare Daniele Petrucci? “Vorrei arrivare al mondiale. Dopo tanti anni di sacrifici. Intanto, pensiamo all'incontro del 25 Giugno.”

Dopo il 25, cosa succede?
Interviene Carlo Maggi: "Daniele, in caso di vittoria, difenderà il titolo europeo per aprire le porte al mondiale. Speriamo di andare in America per un mondiale."


Due chiacchiere con il maestro di Daniele, Carlo Maggi:
 Carlo, raccontaci la tua carriera sportiva. “La mia carriera sportiva non è stata molto lunga purtroppo. Gli addetti ai lavori mi avevano detto che sarei potuto essere una promessa romana. Ho iniziato bene, poi ho dovuto smettere per cinque anni per svariati problemi. Ho ripreso poi a combattere, ho disputato qualche match importante da dilettante, dopo di che sono passato tra le fila dei professionisti. La vita ha poi preso il suo naturale corso: mi sono sposato, ho avuto una figlia e bisognava mantenere la famiglia. Ieri non era come oggi: c'era più fame, non avevo un lavoro -a parte il pugilato- e non riuscivo così a mantenere la famiglia. Per questo motivo ho poi dovuto abbandonare la carriera da pugile.”

E' stato un rimpianto per te?
“Si, anche se poi non sono più uscito dal pugilato in senso lato. Ho sempre frequentato l'ambiente pugilistico, in palestra, insegnato poi ai ragazzi l'arte della boxe.”

Comunque poi hai avuto delle soddisfazioni, perchè sei riuscito a tirare fuori dei campioni, proprio come Daniele Petrucci.
“Si, con la mia testardaggine ed il mio voler esser vincente in tutto, ho messo in piedi la prima palestra. I miei ragazzi, quelli che frequentano la mia palestra, sono seri ed educati. Con l'allenamento che ho ideato per loro, mi ritengo fortunato ad aver tirato fuori tanti campioncini”.

Di questo sono molto contenta, perchè insegnare anche l'educazione, al di fuori della boxe, non può che farti onore.
“L'educazione è alla base: nella mia palestra, i sbruffoni, i “bulletti” non esistono.”

Come hai messo su la prima palestra?
“Avevo aperto una palestra nel quartiere di San Basilio, in uno scantinato piccolissimo, ma comunque funzionante. Ho sistemato tutto, insieme all'aiuto dei ragazzi: dai soffitti, ai pavimento, comprensivo di docce. Dopo 11 anni di attività -e 9 campioni d'Italia venuti fuori- sono arrivati i vigili e ci hanno comunicato il nostro abusivismo”. Nessuno ti ha poi aiutato a trovare un posto migliore, anche per via dei riconoscimenti ricevuti? “Tutto il quartiere mi ha aiutato. Abbiamo fatto delle dimostrazioni pubbliche nel quartiere, abbiamo fatto conoscere la nostra realtà. Sono intervenuti i politici di allora e per sportivi meriti ci hanno indicato una palestra, dove siamo tutt'ora. Era tutta da sistemare, ma piano piano l'ho tirata su: e qui continua il nostro sogno, il sogno di tutti i pugili.”